Culture

Mimmo Rotella, il Catalogo ragionato a cura di Germano Celant

di Antonella Soldaini

"Lavorare ad un catalogo ragionato di un artista come Mimmo Rotella, è un’impresa complessa. E' necessario avere una buona dose di spirito investigativo"

Mimmo Rotella. Catalogo ragionato a cura di Germano Celant.

Una riflessione sul metodo di lavoro:

Lavorare ad un catalogo ragionato di un artista come Mimmo Rotella, è un’impresa complessa. Per questo genere di lavoro è necessario avere una buona dose di spirito investigativo e il desiderio di fare ordine. Perché l’ambizione di chi si accinge a intraprendere uno studio del genere è quella di sistematizzare con metodo i dati in modo tale che possano reggere all’usura del tempo.

L’atteggiamento di un artista verso il proprio lavoro può essere di vari tipi. Può caratterizzarsi per un’attitudine alla conservazione metodica e regolare oppure, ma è raro, per non tenere traccia di nulla o archiviare il materiale in modo caotico e disordinato. Comunque sia, i criteri di archiviazione che vengono da lui o lei adottati seguono sempre delle logiche che sono personali e quindi la prima qualità di un ricercatore è di saper verificare che le informazioni già presenti negli archivi degli artisti, siano attendibili. Il che vuole dire sottomettere tutti i dati disponibili al vaglio di un’attenta analisi e verificare che siano veramente affidabili. Il secondo passaggio consiste nell’effettuare una ricerca ad ampio raggio e su diversi fronti. Per esempio, si devono contattare musei, gallerie, collezionisti, assistenti, parenti, amici, case d’asta, biblioteche, archivi e si deve investigare in qualsiasi direzione possa servire a fare luce su quanto si sta studiando. È questo il motivo per cui, quando si parla di un catalogo ragionato, è necessario considerare il fatto che ci vorrà qualche anno prima di arrivare alla pubblicazione vera e propria.

L’obiettivo ultimo di chi compila un catalogo ragionato, ed è quello che il curatore Germano Celant e il suo team, hanno tenuto in mente con Rotella, è di mettere a disposizione una ricerca che non si arroghi la presunzione di essere insindacabile e perfetta, ma che cerchi di avvicinarsi il più possibile ai fatti realmente accaduti e, in questo modo, restituire un quadro onesto della scena storica e culturale in cui l’artista si è trovato a operare, evidenziando quale è stato il suo contributo nel contesto più ampio della storia dell’arte contemporanea.

Il rapporto tra Rotella e Celant risale al 2001, anno in cui è cominciato un dialogo tra di loro che ha portato alla partecipazione dell’artista alla mostra “Arti & Architettura 1900/2000” curata da Celant a Genova nel 2004. In quel contesto Rotella eseguì una sorta di happening che consisteva nel rito della lacerazione di una serie di manifesti attaccati ai muri che si svolse per le strade della città (in piazza De Ferrari). Dopo la sua morte, avvenuta nel 2006, su richiesta di Piero Mascitti, allora Direttore della Fondazione Mimmo Rotella, Celant, che già dal 2002 aveva cominciato a collaborare alla sistematizzazione dell’Archivio Rotella, ha pubblicato la prima grande monografia dedicata all’artista. Nel 2012 Inna e Aghnessa Rotella, le eredi di Rotella, e la Fondazione Mimmo Rotella hanno chiesto al critico di seguire il lavoro concernente la realizzazione del catalogo ragionato. Per questo fu fondato in quello stesso anno il Mimmo Rotella Insitute, un’associazione culturale che doveva affiancare la Fondazione e il cui scopo è di seguire la ricerca finalizzata alla pubblicazione dei volumi e all’organizzazione e supervisione delle attività culturali collegate alla figura dell’artista. Fu formato un team composto da me in veste di direttore e da Veronica Locatelli in veste di ricercatore. L’impianto della ricerca è stato costruito da Celant e su quella base è stato impostato tutto il metodo di lavoro.

Rotella si è contraddistinto per il suo carattere poliedrico e per una incessante necessità di rinnovo stilistico. Ne è riprova quanto accaduto all’inizio degli anni sessanta, periodo in cui, tramite l’invenzione del décollage, avvenuta già nei primi anni cinquanta, l’artista aveva ricevuto importanti riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. Per esempio aveva partecipato alle mostre “The Art of Assemblage” al MoMA nel 1961 e “New Realists” alla Sidney Janis Gallery nel 1962, entrambe a New York. Nonostante tutto, già a partire dal 1964, anno in cui gli venne dedicata una sala personale presso la Biennale di Venezia, il suo interesse era rivolto alla sperimentazione di una nuova tecnica che andasse oltre il décollage e che poi sarebbe stata conosciuta con il nome di ‘riporto fotografico’. Una tecnica basata sul processo meccanico fotografico a cui seguiranno quasi contemporaneamente quelle dell’Arty-po, dei frottages e degli effaçages. Si tratta di tecniche molto diverse tra loro ma che, senza entrare nel dettaglio del modo in cui sono state ottenute, sottendono tutte un cambio di passo nell’atteggiamento dell’artista verso il lavoro. Se con il décollage l’intervento di Rotella era fortemente personalizzato, con le nuove tipologie si assiste ad un raffreddamento emotivo. Nelle nuove opere l’artista vuole riportare con oggettività e con il minore coinvolgimento empatico possibile le immagini prelevate dalla comunicazione di massa. Rotella assume così un atteggiamento più distaccato e si pone in una condizione di osservazione e ricognizione degli eventi e delle cose. In questo periodo della sua attività, l’artista, per citare Maurizio Calvesi, è passato dal considerare il manifesto “prima come spoglia esistenziale e poi come immagine ‘informativa’”.

Ma a prescindere dalle diverse tecniche utilizzate rimane il fatto che la maggiore innovazione di Rotella sia stata quella di avere cercato il confronto diretto con la realtà che lo circondava. Non importa se si sia trattato del manifesto preso per la strada, dell’oggetto trovato al mercato delle pulci, delle prove di stampa recuperate nelle tipografie o dei fogli delle riviste trovate in giro. Quello che contava per lui era come riuscire a veicolare nel linguaggio artistico l’urgenza di un confronto con le trasformazioni che stavano accadendo nella società contemporanea. La sua intuizione è stata di avere sfruttato la sua innata necessità di rinnovamento e di confronto con il mondo esterno per avventurarsi in nuovi modi di esprimersi. Rotella non ha mai avuto paura di allontanarsi da un linguaggio, come era il décollage, già codificato, riconosciuto e apprezzato, e non si è sottratto all’idea di sconfinare in altri campi di indagine, tramite quello che lui chiamava il suo “radar mentale”.

Nel secondo volume del catalogo ragionato tutti questi diversi passaggi sono resi ben visibili. È per esempio chiaro come la decisione di abbandonare il linguaggio informale, che Rotella aveva adottato all’inizio della sua carriera, a favore di un’iconografia figurativa e per la precisione quella dei manifesti del cinema e della pubblicità dei prodotti di largo consumo, sia dovuto al fatto che le figure degli attori e degli oggetti rappresentano per lui un modo per avvicinarsi maggiormente al reale da cui è circondato. L’artista strumentalizza questa loro debordante presenza per riuscire a compiere un passo indietro, lasciando parlare di più il contenuto dell’opera e meno di sé. La sua figura si nasconde dietro il gesto della semplice appropriazione di qualcosa che già esiste nella vita quotidiana e che lui, immettendolo nel circuito artistico, non fa altro che sottoporre alla nostra attenzione. Un'operazione di annullamento dell'intervento artistico che, seppure immobilizzato e ridotto al minimo indispensabile, non potrà però mai scomparire del tutto, come si vede nel suo caso ma anche in quello di altri suoi colleghi raggruppati sotto l’etichetta di Mec-Art.

I due volumi del catalogo ragionato finora realizzati, oltre a seguire una già sperimentata sequenza dei contenuti che comprende un testo critico di Celant e una cronologia su Rotella riguardante gli anni considerati, affiancata a una relativa ai maggiori eventi culturali e politici che si sono svolti in parallelo, presentano nella schedatura delle opere una novità veramente di rilievo. Come mai fatto in precedenza, è stato deciso di adottare un particolare metodo di ordinamento relativo a quelle opere di cui l’analisi ha evidenziato problemi di datazione. Al termine di alcuni degli anni analizzati, è stata inserita una sezione intitolata Ipotesi critica di datazione. Comprende le schede delle opere per le quali lo studio ha reso necessario ipotizzare una datazione critica differente da quella riportata dall’artista sull’opera o sul certificato di autenticità. Ogni opera che rientra in questi parametri, di conseguenza, presenta: una prima scheda posta al termine dell’ordinamento annuale, secondo la data indicata dall’artista; e una seconda scheda, nella sezione Ipotesi critica di datazione, inserita all’interno dell’ordinamento annuale, secondo la datazione ipotizzata criticamente.

In questo modo, pur rispettando le indicazioni fornite dall’artista, abbiamo dato al lettore la possibilità di individuare il risultato della nostra ricerca. Si tratta ovviamente di un’ipotesi formulata sulla base di riscontri, dopo avere incrociato i dati e dopo avere “ragionato” (non a caso non si parla di catalogo generale ma appunto di catalogo “ragionato”) su quella che secondo noi è l’ipotesi che più si avvicina al vero e a quanto effettivamente accaduto.

Il secondo volume del catalogo ragionato di Rotella uscirà tra pochi mesi. Celant, prima della sua recente scomparsa, aveva avuto la possibilità di seguire tutto il processo fino alla consegna del materiale presso la casa editrice (SKIRA). Con grande rammarico e con dolore non saremo però in grado di condividere con lui il momento più emozionante che consiste nel vedere la pubblicazione realizzata fisicamente e frutto di quattro anni di appassionante e intenso lavoro.

rotrlla1Mimmo Rotella
Il punto e mezzo, 1962
Décollage su tela
184 × 136 cm
Collezione privata
Foto: Courtesy Fondazione Marconi
© 2020 Mimmo Rotella by SIAE
 
rotella 2Da sinistra: Germano Celant, Gae Aulenti e Mimmo Rotella a Palazzo Ducale, alla mostra “Arti & Architettura 1900/2000”, Genova 2004
Foto: Fabrizio Garghetti