Morte Paolo Villaggio, non solo “vae victis” ma anche "vae mortuis"
Da tempo c'è una specie di rito macabro intorno ai morti più famosi. Non fanno in tempo a morire, e già arriva un coro di “celebranti”
Forse è sempre andata così: “vae victis”, “la storia scritta dai vincitori”, e così via.
Eppure, a me pare che la civiltà dell’immagine, la superficialità della cultura “visual”, e la ferocia del chiacchiericcio “social” stiano creando un supplemento di crudeltà nella manipolazione della storia di chi scompare, dando vita a una forma più evoluta e più cinica della “damnatio memoriae”: in questo caso, un mix di alterazione e cancellazione, e una conservazione solo dei tratti “comodi” e ritenuti “accettabili” (secondo canoni di conformismo e “correttezza politica”) della storia del “de cuius”.
E’ toccato in queste ore a Paolo Villaggio. Non l’ho mai conosciuto personalmente; come tutti, ne ho visto tanti film; come molti, ne ho letto i libri. Non credo di condividere molte di quelle che sono state le sue idee politiche e la sua visione delle cose. Eppure, ho avuto la netta impressione che fossimo davanti a uno splendido “non conformista”. In tv (ricordate il professor Kranz) fu il primo, in una televisione ingessata, a “maltrattare” il pubblico, a far irrompere negli studi Rai il respiro dell’aggressività. Al cinema, con Fantozzi, non ci descrisse solo un “perdente seriale”, ma qualcosa di più complesso: l’italiano che subisce in ufficio ma si vendica in casa, forte coi deboli tanto quanto debole coi forti. E sono solo due esempi.
Non sarà ricordato così, purtroppo. Da ventiquattr’ore, e per altre ventiquattro, saremo travolti quasi solo da ricordi dolciastri e oleografici (in genere, di quelli che lo scansavano da anni o lo trattavano da disadattato o peggio…).
Ecco, a me pare che da tempo ci sia una specie di rito macabro intorno ai morti più famosi. Non fanno in tempo a morire, e già arriva un coro di “celebranti” che commemorano a proprio uso e consumo, aboliscono le parti “scomode” della biografia dell’interessato, e poi – dopo quarantott’ore di lacrime e giochi di specchi, in cui l’immagine del defunto è ovunque – ne preparano l’oblio e la rimozione.
Negli ultimi anni, cito due casi, evidentemente diversissimi da Villaggio per storie personali e caratteristiche. Eppure la tecnica è stata la stessa.
Pensate a Papa Wojtyla: il suo funerale fu faraonico, mastodontico, la commozione enorme…Eppure, in pochi anni la sua figura appare meno nitida, sfocata, non approfondita a dovere. E soprattutto, da parte dei “celebranti ufficiali”, è stata fatta piano piano svanire la dimensione anticomunista, il ruolo giocato nella caduta del Muro e nel collasso dell’Unione Sovietica.
Oppure, su un piano ancora diverso, pensate a Marco Pannella. In primo luogo per le sue scelte degli ultimi anni, ma soprattutto - anche qui - per l’opera degli immancabili “celebranti ufficiali”, se ne sta proponendo un’immagine che è un misto tra il santone laico e il pacifista col fiore in bocca: e si fa scolorire tutto ciò che piace meno “alla gente che piace”, dai connotati pro-americani a quelli pro-israeliani, passando per le importanti pagine liberiste e pro-mercato.
Non solo vae victis, dunque: anche vae mortuis…