Culture

Morte Paolo Villaggio, non solo “vae victis” ma anche "vae mortuis"

Daniele Capezzone

Da tempo c'è una specie di rito macabro intorno ai morti più famosi. Non fanno in tempo a morire, e già arriva un coro di “celebranti”

Forse è sempre andata così: “vae victis”, “la storia scritta dai vincitori”, e così via.
 
Eppure, a me pare che la civiltà dell’immagine, la superficialità della cultura “visual”, e la ferocia del chiacchiericcio “social” stiano creando un supplemento di crudeltà nella manipolazione della storia di chi scompare, dando vita a una forma più evoluta e più cinica della “damnatio memoriae”: in questo caso, un mix di alterazione e cancellazione, e una conservazione solo dei tratti “comodi” e ritenuti “accettabili” (secondo canoni di conformismo e “correttezza politica”) della storia del “de cuius”.
 
E’ toccato in queste ore a Paolo Villaggio. Non l’ho mai conosciuto personalmente; come tutti, ne ho visto tanti film; come molti, ne ho letto i libri. Non credo di condividere molte di quelle che sono state le sue idee politiche e la sua visione delle cose. Eppure, ho avuto la netta impressione che fossimo davanti a uno splendido “non conformista”. In tv (ricordate il professor Kranz) fu il primo, in una televisione ingessata, a “maltrattare” il pubblico, a far irrompere negli studi Rai il respiro dell’aggressività. Al cinema, con Fantozzi, non ci descrisse solo un “perdente seriale”, ma qualcosa di più complesso: l’italiano che subisce in ufficio ma si vendica in casa, forte coi deboli tanto quanto debole coi forti. E sono solo due esempi.
 
Non sarà ricordato così, purtroppo. Da ventiquattr’ore, e per altre ventiquattro, saremo travolti quasi solo da ricordi dolciastri e oleografici (in genere, di quelli che lo scansavano da anni o lo trattavano da disadattato o peggio…).
 
Ecco, a me pare che da tempo ci sia una specie di rito macabro intorno ai morti più famosi. Non fanno in tempo a morire, e già arriva un coro di “celebranti” che commemorano a proprio uso e consumo, aboliscono le parti “scomode” della biografia dell’interessato, e poi – dopo quarantott’ore di lacrime e giochi di specchi, in cui l’immagine del defunto è ovunque – ne preparano l’oblio e la rimozione.
 
Negli ultimi anni, cito due casi, evidentemente diversissimi da Villaggio per storie personali e caratteristiche. Eppure la tecnica è stata la stessa.
 
Pensate a Papa Wojtyla: il suo funerale fu faraonico, mastodontico, la commozione enorme…Eppure, in pochi anni la sua figura appare meno nitida, sfocata, non approfondita a dovere. E soprattutto, da parte dei “celebranti ufficiali”, è stata fatta piano piano svanire la dimensione anticomunista, il ruolo giocato nella caduta del Muro e nel collasso dell’Unione Sovietica.
 
Oppure, su un piano ancora diverso, pensate a Marco Pannella. In primo luogo per le sue scelte degli ultimi anni, ma soprattutto - anche qui - per l’opera degli immancabili “celebranti ufficiali”, se ne sta proponendo un’immagine che è un misto tra il santone laico e il pacifista col fiore in bocca: e si fa scolorire tutto ciò che piace meno “alla gente che piace”, dai connotati pro-americani a quelli pro-israeliani, passando per le importanti pagine liberiste e pro-mercato.
 
Non solo vae victis, dunque: anche vae mortuis