Culture
Pio XII, tra celebrazione e denigrazione. Il caso di Papa Pacelli
Le critiche su Papa Pio XII non finiscono. Papa Pacelli tra celebre ricordo e denigrazione
Non se ne può più! La telenovela è ormai diventata stucchevole. Tutti si arrogano il diritto di sparare ad alzo zero nei confronti di Pio XII (1876 – 1958). Il Pontefice romano che si è trovato a guidare la Navicella di Pietro in un periodo storico “tremendo” che annoverava come protagonisti il dittatore tedesco Adolf Hitler (1889 – 1945) -che, addirittura, aveva programmato di farlo rapire e condurlo prigioniero in Germania- e quello sovietico, Stalin (1879 – 1953), che s'interrogava, e interrogava, sul numero e la consistenza delle legioni del Papa.
Anche l'altro giorno, in occasione dell'annuncio dell'apertura, il 2 marzo del 2020, degli Archivi Pacelliani con milioni di documenti, finalmente a disposizione del pubblico e degli studiosi, l'Uomo e il Pontefice sono stati ancora una volta presi di mira per denigrarne la carismatica figura non potendone decretare la damnatio memoriae.
Perchè, siamo franchi, Pacelli non è -e, certamente, non lo è mai stato- un Bergoglio qualsiasi che ha reso la Chiesa tremebonda e arrendevole, vittima designata della pusillanime congiura del mondialismo razionalistico e massone. Pio XII ha interpretato appieno il ruolo delicato e complesso del Vicario, in Terra, del Cristo Signore. Non si è mai abbandonato ad atteggiamenti demagogici di sorta. È stato un Pontefice della Chiesa così come costui dev'essere, secondo le consuetudini, le tradizioni, i canoni consolidatisi lungo il corso dei millenni che ne hanno, per così dire, forgiato la cifra umana e sacerdotale fornendole l'amplomb perfetto che l'intero pianeta gli ha sempre riconosciuto, e gli riconosce, hinc et nunc. Così, non potendolo attaccare sul piano dell'intelligenza -era versatile, sagace, immenso-, né tanto meno a livello culturale -era preparatissimo in tutti i campi del sapere, come testimoniano i discorsi mirati, i radiomessaggi coinvolgenti, gli interventi circostanziati nei più diversi ambiti dello scibile umano, relativamente alla propria epoca, com'è ovvio- lo hanno protervamente assalito con metodica, meditata violenza sia sul piano della carità che su quello dell'indulgenza mesericorde.
Gli anni del pontificato pacelliano, in particolare quelli che si snodano tutti interi dal secondo dopoguerra sino al 1958, sono stati marchiati dall'aggressività delle ideologie atee e comunistiche che martellavano, senza jati di sorta, per fagocitare, letteralmente, l'intera civiltà dell'Occidente latino e cristiano. Era la paura che paralizzava ogni forma di vita libera e ogni espressione di pensiero autonomo che costituiscono, esclusa di ogni ombra di dubbio, la linfa vitale che spinge l'uomo laico al progresso civile e liberale e l'homo religiosus a capire ed a camprendere come sia possibile l'esistenza di un ossimoro in cui gli elementi, i termini che lo compongono, siano così stridenti e tanto contraddittori ma, nel tempo medesimo, così persuasivi e pervadenti.
Il punto è sempre il medesimo; l'abbrivo risulta ancora lo stesso: la condanna, con decreto del 13 luglio del 1949, da parte del Sant'Uffizio, dell'ideologia comunista, atea e marxista, che agiva sulla credulona dabbenaggine dei ceti “subalterni”. I quali credevano di potersi riscattare socialmente dalla propria condizione di subornati affidandosi ciecamente a dei micidiali imbonitori che promettevano, con improntitudine e sfacciataggine tosta, il paradiso sovietico in terra in contrapposizione a quello spirituale prospettato dall'insegnamento della Chiesa. La quale, continuamente, durante il corso dei secoli, si è totalmente spesa anche come socorritrice delle necessità materiali, non soltanto dei propri fedeli, ma si è preoccupata delle urgenze umanitarie in qualsiasi latitudine ed a vastissimo spettro.
Pio XII mancante di misericordia!
L'affermazione è uno scherno: velenoso e beffardo! In particolare, dopo la pubblicazione, nel 2006, presso l'editore Sperling & Kupfer, da parte di suor Margherita Marchione, allieva di Giuseppe Prezzolini, del poderoso volume intitolato Crociata di carità. L'impegno di Pio XII per i prigionieri della Seconda Guerra Mondiale, nel quale Ella fornisce conto dell'azione organizzativa, capillare, che il Papa, secondo l'accusa continuamente rivoltagli, dalla metalità elitaria, in quanto appartenente alla cosiddetta nobiltà “nera” romana, geneticamente, costituzionalmente, non poteva per nulla comprendere i bisogni delle classi sociali povere e reiette.
È, questo, un “reato” più subdolo, più cattivo, più insinuante di quant'altri mai siano stati scagliati contro l'ultimo, vero, autentico Sommo Pontefice della Chiesa romana. Perchè, nella formulazione, apparentemente semplice, quasi svagata, l'accusa nasconde un'imputazione a livello genealogico, antropologico che fa rabbrividire: Eugenio Pacelli non sarebbe dovuto mai diventare papa per una colpa atavica che lo inchiodava al suo ceto e doveva sbarrargli totalmente l'ascesa al Soglio di Pietro in quanto nobile e, per ciò stesso, essenzialemente privo di quella apertura mentale, di quella caritativa comprensione verso le classi povere che, in gioconda e spensierata incoscienza, continuavano a frequentare le chiese oppure, se israeliti, a praticare le sinagoghe. Stà tutto qui. Risiede in tutto questo, nella condanna delle teorie marxiste e comuniste, l'eziologia degli spietati attacchi alla figura e all'opera di un Pontefice che, più di ogni altro, ha compreso, nell'interezza della propria formulazione, cosa stesse a significare un'ideologia falsa; elementarmente incapace di capire le vere esigenze che una massa di gente impreparata al vivere civile e democratico potesse produrre sul piano onnipervadente politico e sociale.
Un prodromo decisivo della condanna delle ideologie di sinistra, nel 1949, risaliva, però, a poco più di un anno prima, allorchè Papa Pio XII si era attivato, per neutralizzare le ideologie sinistrorse, con la personale, profetica lungimiranza, durante la dura campagna elettorale per la nomina dei deputati e dei senatori al primo Parlamento repubblicano italiano. Che si concluse il 18 aprile del 1948, allorchè le urne registrarono la netta prevalenza del partito della Democrazia Cistiana, sottraendo l'Italia ad un futuro di sottomissione e di fame che si prospettava spaventoso e rabbrividente così come era avvenuto per le popolazioni della Mitteleuropa che, ancora oggi, sebbene se ne siano saggiamente affrancate, pagano le deleterie conseguenze della propria condizione di stati satelliti dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Furono i Comitati Civici, organizzati da Luigi Gedda (1902 – 2000), l'uomo del 18 aprile del 1948, a sconfiggere le sinistre comuniste e socialiste del Fronte Popolare. “La mia 31ª udienza ha luogo il 22 aprile 1948 e per ciò -è lo stesso Gedda che lo ricorda- a vittoria elettorale conseguita... Pio XII è molto rasserenato, Gli chiedo se è contento del successo e mi risponde: 'Oltre le previsioni'” (L. Gedda, 18 aprile 1948. memorie inedite dell'artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Milano 1998, pp. 132 – 133).
Ecco, è questa la “colpa” di Pio XII. Nessuno apertamente lo dice: avere sconfitto in modo clamoroso le sinistre marxiste, ebraiche e anti occidentali, gli costa ancora la damnatio e gli procura la bruciante persecuzione.
Per tutto ciò, io difendo Papa Pacelli, la cui figura si staglia jeratica, come quella di un pontefice medievale, sullo sfondo del secolo breve. Defensor Civitatis. Nel significato che, semanticamente, Agostino d'Ippona (354 - 430) intese conferire al lessema civitas. Ossia, la città di Roma come Chiesa e, con essa e per essa, come Mondo. Mondo – Cosmo – Universo: nel quale sono rappresi tutti quei valori, tutti quei princìpi, umani e spirituali che Eugenio Pacelli ha ininterrottamente difeso sino allo stremo e, in un continuum giammai inalterabile, affermati con un'impavida azione della mente e del cuore della quale, ancora oggi, in maniera vigliacca, gli si intende ascrivere a colpa perenne.