Quanti pregiudizi su Dario Fo
L’esistenza di Dario Fo è stata improntata allo scontro con il potere. Si pensi all’opera “Morte acccidentale di un anarchico” (1970), ispirata alla morte di Giuseppe Pinelli (per cui poi pagherà con la morte il commissario Luigi Calabresi per mano dei terroristi di Lotta continua). Si pensi anche al visto negato a lui e alla moglie Franca Rame dagli Stati Uniti, alle critiche del Vaticano per le posizioni anticlericali e all’allontanamento dalla Rai. Pagò tragicamente la moglie Franca Rame, sequestrata e violentata da neofascisti. Per completezza, Fo aderì giovanissimo alla Repubblica Sociale Italiana, regime voluto dai nazisti e guidato da Benito Mussolini (settembre 1943-aprile 1945), fatto clamoroso per un extraparlamentare di sinistra, che Fo giustificò quale errore contingente. Infine il recente avvicinamento al Movimento Cinque Stelle.
Oltre allo scontro col potere, dall’altra parte, la produzione. Si pensi all’opera più famosa “Mistero buffo” (1969) che si rifà alle improvvisazioni giullaresche e alla Commedia dell’arte con un linguaggio, una mescolanza di dialetti non codificata. L’arte (la cui etimologia più lontana rimanda al sanscrito quale rituale) ha una duplice funzione quale espressione di segni con una finalità pratica, capita da tutti, eseguibile e tramandabile dagli artisti (artigiani) ai loro allievi.
La sintesi di questi due ambiti è nella motivazione del Premio Nobel attribuito a Fo (1997): “Perché, segue la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi”. Un giullare sarà stato un artista nel Medioevo, come lo era chi costruiva cattedrali (entrambi anonimi, entrambi possedevano una tecnica). Opinabile il concetto di potere come qualcosa di negativo, come quello di oppressi, senza dignità e vittime del potere.
Ernesto Vergani