Culture
Raffaello a Milano, che cosa c'è dietro la mostra
di Raffaello Carabini
Affermare che Raffaello Santi è un pittore equivale a dire che la Ferrari Testarossa è un'automobile. Il Santius o Sanzio, come lui stesso latinizzò il suo patronimico, fu quel "nobile artista", che, quando morì - parola del Vasari -, rischiò di far morire la pittura stessa, rimasta quasi cieca nel momento in cui egli aveva chiuso gli occhi.
Il "divino" pittore. Più di Leonardo, che lo invidiava apertamente; più di Michelangelo, che lo detestava. Colui che ha concepito i canoni della bellezza così come li abbiamo impressi nel nostro dna, distribuiti in tutto l'Occidente dapprima dalla bottega, quasi una fucina warholiana ante litteram, che curava la diffusione nelle corti europee delle sue opere attraverso il mezzo allora più moderno, la grafica a stampa.
Poi dal Manierismo cinquecentesco che si rifece per gran parte alle sue "invenzioni", ai suoi principi di ordine, simmetria, proporzione, equilibrio, divenuti imprescindibilmente "classici" fino all'avvento della filosofia empiristico-sensista, che spostò il paradigma interpretativo: la bellezza non è più in ciò che si osserva ma nelle sensazioni che suscita.
Poi ancora dall'obbligatorio Grand Tour in Italia di tutta l'intellighenzia europea a partire dal Seicento, che aveva tappe d'obbligo di fronte alle sue opere, e ancora dai suoi cartoni per gli arazzi della Cappella Sistina, divenuti riferimento di tutta la pittura inglese dal 1698, data in cui vennero esposti a Londra nel palazzo reale di Hampton Court, ma soprattutto dal 1865, quando furono ammirabili da tutti nella sala del Victoria and Albert Museum che tuttora li custodisce.
La sua "Madonna con san Giovannino e il Bambino", detta anche "Madonna Esterhazy", attesa a Palazzo Marino di Milano dal 3 dicembre prossimo all'11 gennaio 2015, in un'esposizione dedicata nell'ambito degli incontri con l'arte proposti dal comune in occasione delle festività natalizie, è un esempio dell'evoluzione stilistica di Raffaello nel suo periodo "di mezzo", mentre stava per trasferirsi (o lo aveva fatto da poco) da Firenze a Roma, sul finire del 1508, appena venticinquenne.
A Roma, morto Donato Bramante, suo conterraneo e mentore, assunse tutti gli incarichi più importanti, da "architetto della basilica vaticana" a "conservatore delle antichità romane", finanche a "maestro delle strade", con incarichi urbanistici che si sommarono ai suoi infiniti impegni pittorici, a cominciare dalle celeberrime "Stanze" vaticane.
E fu anche architetto - villa Madama e la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo sono gli unici edifici rimasti di un'attività cui offrì alcuni concetti che ne determinarono una "svolta" - e scultore "dilettante", si cimentò nell'oreficeria, progettò caminetti, si impegnò nell'archeologia e scrisse in difesa del patrimonio storico.
Non solo, si dedicò anche alla poesia: rimangono cinque suoi sonetti d'amore, un'altra delle sue principali attività. Quella che lo portò alla morte. Infatti Raffaello, di ottimo carattere e compagno di serate un po' dissolute assai generoso (del resto era ricchissimo: lasciò un patrimonio di 16.000 ducati - un impiego di buon livello valeva circa 500 ducati annui - e qualche palazzo), ebbe un attacco di febbre continua e acuta. I medici sbagliarono la cura: era la settimana della passione precedente la Pasqua e lui non trovò il coraggio di dire loro che l'aveva causata un'intera notte di sfrenatezze con la sua leggendaria amante, la Fornarina. Morì, così come era nato, di venerdì santo, a soli 37 anni.
La "Madonna con san Giovannino e il Bambino", detta anche "Madonna Esterhazy", non è certamente uno dei capolavori assoluti dell'arte rinascimentale. Ma è un Raffaello, di sicura totale attribuzione, che torna in Italia, al Palazzo Marino di Milano, in un'esposizione tutta sua nell'ambito degli incontri con l'arte proposti dal comune in occasione delle festività natalizie, dopo la pallida - a fianco di capolavori più pregnanti - apparizione nella bellissima esposizione romana "Raffaello da Firenze a Roma" del 2006.
Ispirata per la composizione delle figure a un modello leonardesco (il disegno è al castello di Windsor), viene affiancata nella Sala Alessi da due opere di eccellenti seguaci milanesi del Vinciano, prossime per epoca, soggetto e caratteristiche stilistiche, che le fanno da damigelle: l'ottima copia della "Vergine delle rocce" di Francesco Melzi e la "Madonna della rosa" di Giovanni Antonio Boltraffio, entrambe conservate in città.
Tavola significativa di uno snodo artistico determinante nella carriera del Sanzio, la "Madonna Esterhazy" - incompiuta e suggestiva - appartiene al periodo in cui si stava trasferendo da Firenze a Roma, chiamatovi nel 1508 dal pontefice-mecenate Giulio II su suggerimento del geniale Donato Bramante, suo conterraneo ed estimatore. Per certi versi, proprio l'incompiutezza la rende un esempio importante di come la pittura di Raffaello possieda spessissimo "quel misterioso non-so-che che rende il quadro un miracolo" (lo scriveva nel suo Diario Nataniel Hawthorne, il grande romanziere americano de La lettera scarlatta, riferendosi alla "Madonna della seggiola", "il quadro più bello del mondo").
Raffaello non solo dipinge in maniera perfetta, ma riesce a farlo senza freddezza, mai distaccato da chi guarda. Raffaello ci offre "le cose non come le fa la natura, ma come ella le dovrebbe fare", immagini migliori di quanto la stessa natura sappia realizzare. Ed è proprio il suo modus di attuare queste "migliorie" a renderlo unico, sublime e inafferrabile, una "virtù visiva" peculiare e intellettuale sì, ma anche critica e assorta, quasi fermata nell'attimo che immediatamente precede l'increspatura dell'inquietudine, l'onda lieve dell'emozione, lo sfrigolio pensoso della dialettica.
Una "guaina dell'anima" diceva Michele Prisco, riprendendo Berenson (che così definiva i magnifici azzurri dei cieli raffaelleschi), meglio sarebbe una "guaina per ogni anima", perché sa farsi universale e personale insieme.
Conservata nel Museo delle Belle Arti di Budapest (lo Szépm?vészeti Múzeum, i cui capolavori arriveranno al Palazzo Reale di Milano in una grande mostra prevista per il 2016), la "Madonna Esterhazy" presenta un movimento rotatorio e oscillante dei corpi delle figure, pose complesse e calibrate che fanno partire e tornare la visuale al Giovannino in lettura, simbolo della Passione, mentre il lirico panorama collinare comprende le rovine dell'antico foro di Nerva.
La tavola è stata restaurata dopo esser stata protagonista di un clamoroso furto - insieme ad altri sei quadri, tra cui un altro Raffaello - nel 1983, commesso da ladri italiani su commissione di un facoltoso greco senza scrupoli. Salirono semplicemente sulle impalcature messe dall'impresa che si occupava dei restauri del museo ungherese, ma furono arrestati poco tempo dopo e le opere recuperate grazie ai Carabinieri della Tutela del Patrimonio culturale, la principale polizia al mondo specializzata in questo tipo di reati.
Anche perché sono i più attivi: in Italia negli ultimi trent'anni sono stati trafugati in media circa 1400 oggetti artistici, tra dipinti, arredi, gioielli antichi, reperti archeologici e mobili d'antiquariato, ogni anno. Un record che deve farci vergognare.
Milano
Palazzo Marino - Sala Alessi
dal 3 dicembre 2014 all'11 gennaio 2015
orario: 8.00 - 20.00
ingresso libero
Info: tel. 02 8845 0000