Culture
"Comicamorra". A Pordenone Piedimonte sul palco con Saviano. "Sarà un dialogo. Racconteremo storie di boss ridicoli...". L'intervista
Scrittori, editori, editor, interviste, recensioni, librerie, e-book, curiosità, retroscena, numeri, anticipazioni... Su Affaritaliani.it tutto (e prima) sull'editoria libraria |
di Antonio Prudenzano
su Twitter: @PrudenzanoAnton

Un anno fa avevamo particolarmente apprezzato "Nel nome dello zio" (Guanda), il romanzo d'esordio di Stefano Piedimonte, napoletano classe '80. Ne avevamo scritto a proposito della coincidenza che ha visto una serie di autori scegliere la chiave grottesca (e tragicomica) per raccontare la camorra, mafia portata all'attenzione nazionale (e mondiale) da "Gomorra", il bestseller di Roberto Saviano.
Il protagonista dell'irresistibile debutto di Piedimonte è lo "Zio", spietato boss della camorra, che ha però una fatale debolezza: la passione per il Grande Fratello, di cui non perde una puntata. Nel nuovo libro, "Voglio solo ammazzarti" (Guanda), ritroviamo lo Zio nel carcere di Poggioreale perché qualcuno l’ha venduto alla polizia. Il nostro boss, ovviamente in cerca di vendetta, riesce a evadere, ma a questo punto faticherà a fidarsi di chiunque...
Sabato 21 settembre, tra l'altro, Piedimonte sarà co-protagonista di uno degli eventi più attesi del festival Pordenonelegge: lo spettacolo teatrale "Comicamorra. Come i clan non vogliono essere raccontati", che lo vedrà sul palco proprio insieme a Saviano (con cui ha scritto il testo).

Piedimonte, l'autore di "Zero Zero Zero" apprezza il suo approccio narrativo: ma com'è nata l'idea dello spettacolo insieme a Saviano? Vi conoscevate già da tempo?
"Non ci conoscevano prima. Ha letto il mio libro e ha scritto che gli piaceva. Tutto qui. Sembra una cosa facile, una cosa naturale: leggi un libro e dici a tutti che ti è piaciuto. Però, mi creda, non è così. A questo mondo c’è gente invidiosa e arrogante, che si guarda bene dal dire una sola parola buona su di te per il timore che potrai rubargli spazio sullo scaffale della libreria. In tempo di crisi si affilano le armi anche fra gli scrittori. Ma forse è sempre stato così. Quello che Roberto e io faremo a Pordenone è nato come un dialogo. Non è stato scritto come uno spettacolo teatrale. Abbiamo semplicemente raccolto storie che raccontano di criminali da strapazzo, gente capace di grandi crudeltà ma anche di tanta idiozia. In fondo la violenza non è già di per sé una grossa idiozia? Alcuni, però, più di altri hanno la capacità di rendersi ridicoli. E’ il caso dei latitanti arrestati per 'motivi gastronomici'. Passi anni a scappare e a rintanarti come un topo di fogna, poi ti fai arrestare per andarti a mangiare il ragù a casa ‘e mammà".

Sul palco, con voi, ci saranno anche degli attori?
"No, nessun attore. Come detto sarà un dialogo. Ci racconteremo, e racconteremo al pubblico, le storie di questi personaggi. Articoli di giornale, ordinanze d’arresto, racconti fatti da collaboratori di giustizia. Mi piacerebbe che conservasse un tono molto colloquiale, due amici che si raccontano storie di boss ridicoli prendendoli in giro...".
Quella di Pordenone sarà un'occasione unica, o porterete lo spettacolo in tour per l'Italia?
"Per ora si tratta di un esperimento. Andremo lì, vedremo come va, come reagisce il pubblico. Non abbiamo ancora programmato niente. Capirà che per me lavorare con Roberto è un grande onore, è ovvio che mi farebbe piacere se continuasse. Vedremo. A fare troppi progetti ci si inguaia la vita".
Perché ai camorristi non piace essere raccontati attraverso la chiave comica?
"Raccontare la criminalità in chiave comica è cosa usuale, ormai. I camorristi - così come i mafiosi e gli ‘ndranghetisti e tutti i loro colleghi - non credo abbiano molta paura che si scriva di loro in chiave comica, a patto che si tratti di finzione. Diverso è raccontare storie vere, episodi realmente accaduti che li mettono in ridicolo. Immagini: tutti hanno paura di Tizio, lo temono, lo rispettano. Un bel giorno arrivo io e racconto alla gente che Tizio, mentre eravamo al ristorante, s’è fatto la cacca nei pantaloni. Non dico che la gente smetterà di aver paura di Tizio, ma almeno comincerà ad associare la sua immagine di spietato criminale a quella di un signore che si fa la cacca nei pantaloni".
Veniamo al suo nuovo romanzo: il protagonista resta lo "Zio", e lei conferma anche l'approccio grottesco nel rappresentare i camorristi: quando ha capito che era questo il modo migliore per raccontare la mafia?
"La camorra ha già dentro sé tutti gli elementi per diventare narrativa. Grottesca, pulp, poliziesca: ognuno sceglie il proprio registro. Grossi contrasti, enormi paradossi, personaggi assurdi. Per me quello era il modo di raccontare quei personaggi. Volendo scrivere una storia completamente inventata, un romanzo, per l’appunto, non ne vedevo altri. Andavano raccontati così".
Lei è un giornalista di cronaca nera: come cambia il suo approccio alla scrittura quando lavora a un libro?
"Sono iscritto all’ordine, ogni tanto continuo a scrivere sui giornali, ma non mi occupo più di cronaca dall’anno scorso. Praticamente da quand’è uscito il mio primo romanzo. Ho scritto di cronaca per diversi anni, e il materiale raccolto visitando le case confiscate ai boss, assistendo agli arresti, guardando le facce stesse dei criminali, l’ho messo tutto da parte nella mia testa. Dopo averlo rimescolato, rielaborato, riplasmato, l’ho trasformato in un romanzo. Detto ciò, ritengo che fra il mestiere del giornalista e quello del romanziere passi la stessa differenza che c’è fra un imbianchino e un idraulico. E’ pericoloso mettersi a scrivere un romanzo pensando 'ma sì, so fare il giornalista, saprò scrivere anche un romanzo'...".
Ha già in mente il prossimo libro? Sarà ancora un romanzo sulla camorra?
"Non sarà un romanzo sulla camorra (non lo sono, in fondo, neanche i due che ho già scritto: la mia intenzione non era quella di spiegare le dinamiche camorristiche, c’è gente molto più brava e preparata di me). In questo caso, però, neanche l’ambientazione sarà più la stessa. Mi allontanerò molto da Napoli, dalla malavita organizzata o disorganizzata che sia. Sarà una favola nera in cui cercherò di mescolare la genuinità, la cialtroneria e il cameratismo di un piccolo paese dimenticato da Dio con la violenza e la disperazione più atroce. Mi piace raccontare gli attriti, la frizione, lo scontro fra macro e microelementi. Gli attriti possono essere molto dolorosi, possono lacerare, ma senza attriti non c’è movimento, e in ultima analisi non c’è vita".