Culture
Dal “Corona diary Opere 2020” alla mostra di Lugano, il pittore Renzo Ferrari
“Dopo una vita da pittore, vorrei morire innamorato”. L'intervista
Il privilegio dell’arte che sviscera e re-interpreta la realtà ad uso di chi non ha la visionarietà necessaria. Quella che possiede Renzo Ferrari, il grande pittore svizzero (è nato a Cadro in Svizzera nel 1939, dove vive e lavora, ma ha compiuto gli studi a Milano al liceo e all'accademia di Brera), che ha lavorato ed esposto nella metropoli lombarda fino al 2007. Ha proposto il suo lavoro a partire dal 1962 in una cinquantina di personali in Italia e Svizzera e partecipato a importanti collettive internazionali. Ora esce per l’editore Skira “Corona diary Opere 2020” e in contemporanea si inaugura una mostra alla Galleria d’Arte La Colomba, in quel di Lugano, visitabile fino al prossimo 10 di ottobre. Ferrari, che ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti quali il Premio Feltrinelli per la pittura nel 1974 e il Premio Morlotti alla carriera nel 2009, durante la serrata per il Covid 19 è rimasto chiuso nel suo studio a dipingere tele su tele, per la gioia di chi ora potrà ammirarle. Da artista puro qual è ha saputo trasformare una tale emergenza planetaria in fonte d’ispirazione, superando l’ansia e le preoccupazioni dinanzi alle notizie incalzanti. “Al momento che inizia la nostra reclusione forzata per il corona virus, o”tutt seraa” come dicono a Milano, si sviluppa l`idea progetto di un diario della pandemia iniziando dalla Cina e tentando una testimonianza con i mezzi della pittura e prendendo così le distanze dalle evidenze dell`informazione di Tv e servizi fotografici. Era implicita anche una possibile esorcizzazione di ansie, incubi e paure degli istantanei bollettini di morte”, spiega il pittore.
Anche lei è in polemica con il dilagare dei social media o sono diventati un veicolo irrinunciabile per la sua arte?
Non ho mai demonizzato i social media anche se ne ho sempre fatto un uso molto parco, finché durante il lockdown ho deciso di postare su Facebook il lavoro che svolgevo quotidianamente in atelier, fino a concepire per il periodo di marzo-aprile un video tematico pubblicato su Youtube e al festival di Poestate/Lugano nell’edizione online 2020.
Come sono state le sue giornate?
Sono stato molto preso dal lavoro in un continuo work in progress.
Lei dipinge cercando il senso di quanto accade o dà senso a quanto accade con la sua pittura?
Specialmente la pittura e la letteratura, a fronte dei moltissimi linguaggi attuali, cercano ricreando la realtà di ricavarne un senso ed esprimere il disagio della nostra condizione sempre più minacciata tra l`altro da squilibri ecologici che portano agli ultimi eventi pandemici drammatici.
Tra 100 anni le sue opere inserite in “Corona Diary” avranno un valore anche documentativo, pensa?
Non lo so, spero solo che nel tempo presente si rafforzi la consapevolezza che il grande problema è lo stato ecologico disastroso del pianeta, da lì tutto dipende.
Qual è l’opera di questa mostra e di questo catalogo che le ha generato maggiori emozioni?
Non saprei dire una preferenza, forse il grande quadro dedicato a Egon Schiele, artista austriaco straordinario, morto di febbre spagnola a soli 28 anni nel 1918. Riguardo alla realizzazione “con fatica” il quadro citato interessa storicamente la nostra attualità e ha avuto lunghe tappe di gestazione: 2009, 2010, agosto 2020. Comunque la realizzazione, stando con perorazione sul pezzo, con corollari di lavori di piccolo, medio e grande formato, viene portata nel tempo a una certa souplesse.
I colori sono altro da sé, da lei, o li possiede internamente?
I colori, o meglio, il colore veicola le emozioni primarie dell’impatto di quanto è successo per il Coronavirus, attraverso un cromatismo acceso ma distante dai colori del contesto reale di Tv e fotografia.
Le bastano i colori che esistono? E con essi è in un rapporto di solo amore o le capita di provare risentimento?
Per dirla con lei le iconografie, soprattutto derivate da storia e storia dell'arte, oscillano nei quadri “tra amore e risentimento”.
Nei suoi ultimi dipinti entra anche la morte falciatrice, come ricorda la giornalista Melina Scalise, lei da uomo come si pone nei confronti del pensiero della morte?
Il tema della morte centrale nella mia mostra è sentita in una prossimità terribile ma spero sublimata dall’azione catartica del colore. Noi tutti la morte la “scontiamo vivendola da sempre giorno per giorno. La morte ci imbarazza al massimo e pensiamo che siano sempre gli altri a morire ma è la cosa più certa e non evitabile. Entra continuamente nei miei pensieri e la esorcizzo con il lavoro creativo. Vorrei morire innamorato.
A questo punto, se ripensa alla sua magnifica parabola artistica, quale riflessione le viene naturale?
Penso ironicamente di essere un pittore facoltativo nei trend modaioli dell’arte contemporanea che tende a escluderla come linguaggio obsoleto. La pittura appartiene per la semplicità e virtualità dei suoi mezzi alla storia dell’espressione umana pre verbale, come sostiene Lascaux, e ciò mi conforta pienamente.