Economia

Arabia Saudita, nel mirino dei petrodollari il business strategico dell'Europa

di Daniele Rosa

Vision 2030 del principe vuole telecomunicazioni, trasporti, aziende green, banche

Arabia Saudita, la Visione 2030 del principe vuole investire in settori strategici europei

C’è un paese al mondo seduto su un oceano di petrolio, guidato da un principe ereditario, Mohamed bin Salman e gestito da un concetto di democrazia abbastanza controverso. Questo paese è l’Arabia Saudita. Fino all’arrivo del trentenne nuovo principe l’Arabia, a differenza dei suoi vicini, come Emirati Arabi, Katar e Bahrein, aveva operato come se il petrolio fosse una risorsa illimitata nella consapevolezza che tutto il mondo mai ne avrebbe potuto fare a meno. Adesso sembra aver cambiato idea. I petrodollari potrebbero, in un tempo ragionevolmente breve, diminuire e ad allora è necessario avere una visione per il futuro operando fino da ora.  La Vision 2030 ha un duplice obiettivo: da un lato usare la valanga di petrodollari a disposizione per investire in società occidentali e dall’altra tentare di cambiare immagine e reputazione che proprio non sono a livelli da sufficienza. Nel mirino del tecnologico principe saudita non ci sono più le imprese americane ma sembra che adesso l’interesse si sia spostato verso il Vecchio Continente.

Arabia Saudita, i settori industriali europei nel mirino

 

Certo non sono una novità gli investimenti arabi in società americane o europee ma fa sempre una certa imressione soffermarsi,elencarne qualcuna e rendersi conto d quanto siano strategici e mirati gli investimenti.  A cominciare dai trasporti. Perchè non fare del paese una meta turistica ambita? Ed allora perchè non investire nel cuore dei voli europei, come l’aeroporto di Heathrow, uno dei più gettonati al mondo? Certo anche  i cugini qatarini ci hanno già pensato ma lo spazio di investimento esiste ed allora ecco che a novembre il Public Investment Fund (PIF),fondo sovrano saudita,  ha acquistato da Ferrovial il 10% dell’aeroporto di Heathrow per 2,7 miliardi di euro. E sempre nei trasporti non ci si puo’ dimenticare del settore automobilistico dove l’onnipresente PIF detiene il 21% della Aston Martin. Mentre negli Stati Uniti ha il 60% della fabbrica di auto elettriche Lucid Group. Dopo i trasporti anche le telecomunicazioni rappresentano un asset strategico di non poco conto per contatti e sicurezza con milioni di dati sensibili. Ed ecco che  a settembre, con un veloce blitz , STC, società statale saudita, ha acquistato il 4,9% della spagnola Telefónica per  2 miliardi. E non è passato inosservato l’accordo fatto l’anno scorso con Vodafone dal consorzio PIF, KKR e Global Infrastructure Partners.  Nell’accorso si prevedeva l’acquisto della società Vantage Towers delle torri di telecomunicazione.

Arabia Saudita, investimenti pure per cercare tecnoogie green

E, sebbene tutti i paesi del Golfo, non spingano verso la decarbonizzazione, hanno ormai compreso che è un fenomeno probabilmente inevitabile ed allora perchè non cominciare a mettere un po’ di petrodollari nelle compagnie che studiano tecnologie pulite? Ecco quindi il senso dell’operazione fatta nel 2021 dalla chimica Saudi Basic Industries Corporation del gigante Saudi Aramco con 1 miliardo di euro investiti nel suo stabilimento nel nord-est del Regno Unito. Stablimento che studia tecnologie di riduzione delle emissioni inquinanti. Forse gli investimenti più conosciuti e che molto spesso fanno storcere il naso a tutti gli occidentali sono quelli fatti, a suon di dollari, nel calcio. Ci puo’ stare di portare via dai campi da gioco europei number one del pallone come Neymar, Ronaldo o Salah ma ospitare nel 2034 la Coppa del Mondo a Riyadh è quasi un delitto di lesa maestà. Ma così è. Come pure si dovuto digerire il boccone amaro rappresentato dall’acquisto per 300 milioni di dollari, sempre di PIF, della squadra del Newcastle. Insomma il signore dell’Arabia Saudita non sta certo con le mani in mano e si sta preparando le basi per quando il petrolio non sarà più cosi indispensabile. E lo sta facendo con una precisa strategia che però non è esente da qualche flop come quello accaduto con Credit Suisse. L’aumento di capitale pari a circa un miliardo e mezzo di dollari fatto dalla Banca nazionale saudita per sostenere lo storico istituto svizzero si è rivelato un fallimento e i ricchi arabi ne sono rimasti impantanati. Poco male, anche perchè, al momento, le somme a disposizione sembrano essere illimitate e fanno rabbrividire il vecchio capitalismo europeo messo alle corde dai ricchi americani, padroni dell’high Tech, dagli onnipresenti cinesi e dai paperoni del deserto.