Economia
Aramco, il pressing di bin Salman.L'Ipo deve salvare ambizioni e conti di Riad
Petrolio in leggera risalita sopra i 58,5 dollari al barile, dopo le ripetute rassicurazioni giunte dall’Arabia Saudita che nonostante una “accuratezza chirurgica” l’attacco della scorsa settimana agli impiati di Hijra Khurais, dove si trova il secondo maggior giacimento petrolifero del paese, e di Abqaiq (la principale raffineria e centro di smistamento di Aramco, la società petrolifera nazionale saudita) hanno prodotto danni così lievi da rendere probabile un ritorno alla piena operatività già entro fine settembre.
Nel frattempo il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha invitato il presidente russo Vladimir Putin a partecipare alle indagini internazionali per verificare chi ci sia dietro, se i ribelli yemeniti (da anni in guerra contro Riad, col sostegno di Teheran) o l’Iran stesso (che finora ha negato ogni coinvolgimento ma che all’Arabia Saudita contende da sempre il predominio geopolitico sul Medio Oriente). Riad sembra avere voglia di lasciarsi il più rapidamente possibile alle spalle l’attacco e si può ben capire: se i danni non saranno subito riparati e l’offerta di petrolio ne risentisse, le quotazioni dell’oro nero potrebbero pure risalire, ma gli investitori inizierebbero a percepire un elevato rischio legato alla vulnerabilità di Aramco.
La quale, come ha ribadito il presidente del colosso petrolifero Yasir Rumayyan, continua a prepararsi all’Ipo attesa “in un momento qualsiasi nei prossimi 12 mesi”, in base all’andamento dei mercati (il debutto, con un flottante non superiore al 3%, dovrebbe comunque avvenire a breve quanto meno sulla borsa Tadawul di Riad), con una presentazione agli analisti delle nove banche selezionate come joint global coordinators, tra cui Jp Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Credit Suisse, attesa già la prossima settimana e l’avvio del roadshow internazionale fissato per novembre.
Per non correre rischi la famiglia reale starebbe poi, secondo quanto riferisce il Financial Times (ma da Riad hanno già fatto filtrare che la ricostruzione del quotidiano finanziario inglese è “infondata e scorretta”), “bullizzando” gli uomini d’affari più ricchi dell’Arabia Saudita (già finiti tra il 2017 e il 2018 agli “arresti dorati” al Ritz-Carlton di Riad), incluso il principe Alwaleed bin Talal, pressandoli affinché con quella parte dei loro patrimoni tuttora “congelata” in patria acquistino titoli e diventino “investitori patrioti” di Aramco, puntando ciascuno una fiche del valore tra una decina e un centinaio di milioni di dollari.
Il tutto allo scopo di centrare quella valutazione da 2 mila miliardi di dollari indicata un anno fa dal principe Mohammed bin Salman e che farebbe entrare nelle casse di Aramco non meno di una sessantina di miliardi di dollari, ma sulla quale non sono mancati dubbi (la valutazione ufficiosa di Aramco oscilla tra mille e millecinquecento miliardi di dollari), tanto che alla fine l’offerta potrebbe riguardare poco più dell’1% del capitale della società petrolifera e ad intervenire potrebbero essere anche i fondi sovrani di stati “amici” come Abu Dhabi e Kuwait oltre che di alcuni paesi asiatici o ricchi investitori egiziani e libanesi che vantano relazioni strette coi reali di Riad.
A bin Salman in ogni caso serve un esito positivo sia per non perdere la faccia, sia per trovare una nuova fonte per finanziare il suo piano Vision 2030 con cui punta a far diventare l’Arabia Saudita una delle dieci più importanti economie mondiali entro la fine del prossimo decennio (al momento Riad è 19esima), riducendone la dipendenza dal petrolio, che ad oggi fornisce quasi il 90% delle entrate del regno, e incrementando il peso del turismo e delle esportazioni di beni diversi dal petrolio dal 16% del Pil attuale al 50% del Pil. Il tutto migliorando nettamente il benessere dei suoi concittadini, anche per consolidare il potere dello stesso bin Salman che certo non può trarre beneficio da attentati terroristici e prezzi in calo del greggio, che già si sono tradotti in un peggioramento record del bilancio pubblico.
Con un greggio che agli attuali livelli è un 17% sotto le quotazioni di 12 mesi fa e non sembra in grado di tornare ai 100 dollari al barile toccati pochi annni or sono (se non altro per via della concorrenza portata dallo shale oil americano e dal sempre più accentuato sviluppo di fonti rinnovabili), Riad ha visto il Pil decellerare nel 2017 (-0,9% sul 2016), le entrate erariali dimezzate a poco più di 20 miliardi di dollari l’anno contro la quarantina degli anni precededenti al 2015 e un deficit schizzato sopra il 17% nel 2016, complice una spesa pubblica che resta vicina alla quarantina di miliardi di dollari l’anno.
(Segue...)