Economia
Renzi non lo dice, ma l'aumento dell'Iva è inevitabile. Ecco perché

Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)
C'è qualcosa che né il premier Matteo Renzi né il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan hanno finora raccontato bene agli italiani. E ovviamente non avrebbero potuto farlo alla vigilia delle elezioni regionali e comunali. Nei palazzi del potere, in Parlamento ma non solo, si ragiona ormai sull'inevitabile incremento dell'Iva a partire dal primo gennaio 2016. Una sorta di Spada di Damocle (la famosa clausola di salvaguardia) che rischia di abbattersi sull'Italia e sui fragili segnali di ripresa economia.
Per scongiurare l'aumento dell'Iva il governo deve trovare dieci miliardi di euro, su questo non ci piove. Ma attenzione - sottolienano fonti politiche e tecniche a Roma - già ci sono difficoltà a realizzare i tagli precedenti, ancora più complicato se non impossibile appare quindi raggiungere questo obiettivo. Andiamo con ordine. Ai 10 miliardi già citati va aggiunto il caso pensioni, perché con i ricorsi in arrivo la partita dopo la sentenza della Consulta non è affatto chiusa. Ci sono poi i 730 milioni di euro da trovare per la tegola della reverse charge, il pasticcio delle province che rischia di costare 500 milioni e l'attesa decisione della Corte Costituzionale sul blocco degli stipendi nella Pubblica Amministrazione.
In tutto questo quadro i tagli alla sanità già decisi sono pari a 2,3 miliardi di euro, ma il problema è che non sono ancora partiti perché il governo non li ha voluti far scattare prima delle elezioni. Considerando i tempi tecnici, prima di luglio non se ne farà nulla e quindi un miliardo dei 2,3 messi a bilancio come tagli alla sanità rischia già di essersene andato in fumo. Come detto c'è poi il 'pasticcio' delle province e delle città metropolitane. Qui il nodo è soprattutto quello di chi si accolla il costo del personale dipendente delle agenzie del lavoro, circa 500 milioni di euro aggiuntivi da reperire. Non finisce qui. Nell'ultima Legge di Stabilità si erano messi a bilancio 1,9 miliardi di euro di tagli ai ministeri centrali ma finora l'esito è stato molto modesto. Solo dalle vendite delle carserme, ad esempio, sarebbero dovuti arrivate 300 milioni ma ad oggi ancora nulla. Anche qui quindi grosso punto interrogativo. Senza contare la ripresa dello spread che mette a rischio il risparmio sugli interessi.
Se sommiamo questi numeri ai dieci miliardi che servono per evitare che scatti la clausola di salvaguardia l'esecutivo dovrebbe trovare entro fine anno circa 15 miliardi di euro. Nel bilancio dello Stato non si possono toccare certo le pensioni, almeno non nel giro di qualche mese, i dipendenti pubblici non possono essere licenziati, gli interessi sul debito pubblico sono quelli e non si toccano, la spesa sanitaria non può scendere sotto il 6,5% del Pil perché altrimenti per l'OMS si metterebbe a rischio l'aspettativa di vita dei cittadini e la spesa per gli investimenti è già stata tagliata del 35%. Fatte queste premesse rimagono 60 miliardi di euro dai quali trovarne 15 in sei mesi, ovvero 30 su base annua. E' davvero possibile un taglio di questa misura? Ovviamente no. Ecco perché appare inevitabile l'incremento dell'Iva dal 22 al 25% e dal 10 al 12% dal primo gennaio del prossimo anno. Aumento che si potrebbe scongiurare soltanto se Renzi riuscisse a ottenere dall'Ue lo sforamento del tetto del 3%. Ma se Bruxelles, anzi sarebbe meglio dire la Cancelliera Angela Merkel, concedesse uno strappo alla regola all'Italia questo sarebbe un precedente molto pericoloso per altri paesi e, quindi, questa appare una strada assolutamente in salita. E comunque uno sforamento del 3% danneggerebbe l'immagine del Paese e potrebbe portare all'aumento dello spread.
Ecco perché l'aumento dell'Iva è davvero dietro l'angolo, con buona pace della ripresa economica. Altro che gufi.