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Economia
Montepaschi sposa Unicredit? Ecco quanto costa il merger a Generali

Di Marco Scotti

Finora la gestione di Philippe Donnet al timone di Generali è proceduta sostanzialmente senza grandi scossoni. Sono lontani i tempi del gossip finanziario, delle indicazioni al veleno di alcuni azionisti (Leonardo Del Vecchio ma non solo) contro il management – Giovanni Perissinotto su tutti – rei di aver “maltrattato” il capitale dell’azienda volendo fare finanza. Donnet è in sella al Leone da quattro anni e mezzo e – come dicono ad Affaritaliani fonti del Leone – “vogliamo fare solo gli assicuratori. Abbiamo dismesso quasi tutte le partecipazioni non-core”. Tra quelle rimaste c’è Banca Monte dei Paschi, di cui Generali detiene il 4,32% e che si ritrovò tra le mani a seguito della conversione di un bond che aveva acquistato durante le precedenti gestioni. Ovvio che nell’autunno del 2017, quando cioè Donnet dovette suo malgrado accettare di essere il secondo azionista della Rocca, dichiarò ufficialmente che avrebbe tenuto in pancia quella partecipazione e non avrebbe cercato di venderla alla prima occasione.

D’altronde, nell’autunno del 2017, quando Mps era ormai agonizzante, lo stato decise di entrare nel capitale sociale della banca “più antica del mondo” acquisendone il 68% per 5,4 miliardi. La quota di Generali, facendo un semplice calcolo aritmetico – che dal Leone non commentano – sarebbe dovuta valere circa 343 milioni di euro. Il 27 ottobre del 2017, quando cioè Mps tornò in Borsa dopo un anno di assenza, le sue azioni valevano 4,75 euro, oggi invece siamo a circa 1,25, con una capitalizzazione complessiva di 1,42 miliardi. Dunque, se oggi Generali volesse vendere a prezzi di mercato la sua quota, otterrebbe circa 61,3 milioni, con una svalutazione che è già stata scontata negli esercizi precedenti. È ipotizzabile, che la presentazione dell’ultimo bilancio (con raccolta ed Ebitda in aumento ma con risultato netto in calo a causa delle svalutazioni a bilancio) abbia risentito anche della posizione di Mps.

Ovvio che il Leone non andrà a cedere la sua partecipazione in questo momento storico, ci mancherebbe altro. Ma che cosa succederà se davvero – come sembra – proseguirà il risiko delle banche caldeggiato da più parti e quindi si arriverà al tanto sospirato “sì” tra Unicredit e Mps? Rapido riassunto: al momento è logico pensare che lo Stato dovrà per forza di cose iniettare capitali per “neutralizzare” il patrimonio di Rocca Salimbeni. Servono circa 5 miliardi per ripulire i conti, minimizzare i rischi legali, crediti fiscali e farsi carico dei circa 6.000 esuberi (su 21.000 dipendenti) che dovranno essere previsti. In cambio, l’Italia si ritroverebbe azionista di circa il 5% di Unicredit. Dunque, lo scenario plausibile è che lo Stato pur di liberarsi di Mps sarebbe disposto ad accettare una pesante minusvalenza, perché avrebbe meno esigenze di spiegare le mosse agli azionisti. Si attende di capire che cosa succederà dalle parti del Leone.

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