Economia
Quattro banche salvate dal governo. Ecco i nomi (e chi paga)
Il governo ha licenziato il decreto disegnato da Bankitalia e Ministero dell'Economia per salvare quattro banche italiane in difficoltà e mettere al riparo da chiari di luna tutta la rete del credito: Cassa di Ferrara, Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti. Un'operazione, approvata in una riunione del Consiglio dei Ministri di un quarto d'ora, domenica pomeriggio, che permetterà di utilizzare un Fondo di risoluzione, che con un impegno valutato dalla Ue in 3,6 miliardi salverà l'operatività delle quattro banche. Che da domani avranno il termine "Nuova" davanti al loro nome.
Si tratta di un onere che sopporterà il sistema bancario italiano, con un impatto sui bilanci di quest'anno e la speranza che il 'prestito ponte' si trasformi in un 'investimento' da recuperare nel prossimo futuro, evitando per ora choc di sistema. Nessun ricorso, garantisce Palazzo Chigi, a soldi pubblici o azioni, obbligazioni e depositi, anche se è prevista una revisione della disciplina fiscale per le 'nuove' banche risanate. Si creerà una 'bad bank', che accoglierà la parte in difficoltà delle quattro banche: le sofferenze subiranno una massiccia svalutazione da 8,5 a 1,5 miliardi di euro in modo da agevolarne presto la vendita sul mercato, come ha specificato Bankitalia. I crediti "saranno venduti a specialisti nel recupero crediti o gestiti direttamente per recuperarli al meglio".
Dalla parte 'sana' delle banche, si procederà a ristrutturare e rilanciare l'attività, che darà così luogo a quattro nuove entità, senza discontinuità operativa con i vecchi sportelli. Alla presidenza dei quattro organismi ci sarà l'ex dg di Unicredit, Roberto Nicastro. Il ministro Boschi, in potenziale conflitto visto il ruolo di vicepresidente del padre in Banca Etruria, ora commissariata, era a Milano per l'inaugurazione della Torre Isozaki, sede di Allianz.
Il governo ha spiegato che "il provvedimento consente di dare continuità all’attività creditizia – e ai rapporti di lavoro – tutelando pienamente i correntisti". La base normativa è costituita dal nuovo quadro di gestioen delle crisi bancarie, con i relativi decreti pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 16 novembre scorso, cui ha fatto seguito la delibera di Bakitalia di sabato 21 novembre sui provvedimenti di avvio della risoluzione, approvati dal Tesoro l'indomani, dopo aver ricevuto il via libera della Commissione europea.
Nel comunicato dopo la riunione, Palazzo Chigi ha sottolineato che "il decreto legge ha un ambito estremamente circoscritto. Esso è volto unicamente a: costituire tempestivamente le nuove banche (banche-ponte) contemplate dai provvedimenti di avvio della risoluzione delle banche in questione; definire un quadro normativo certo sulle modalità con cui saranno raccolti i contributi da parte del settore bancario al Fondo di risoluzione nazionale successivamente all’integrale avvio del Meccanismo di risoluzione unico; definire le modalità per l’applicazione alle nuove banche della disciplina fiscale in materia di imposte differite attive già in vigore per tutti gli istituti di credito".
L'operazione è nel quadro della direttiva che contempla anche l'ormai noto 'bail-in', il meccanismo che coinvolge obbligazioni, azioni e depositi (sopra 100mila euro) nel salvataggio di una banca in difficoltà, prima che i fondi pubblici. Un meccanismo, quello del 'salvataggio interno', che non scatta nel caso di queste quattro banche. Proprio per evitare di arrivare a quel punto, si era pensato in passato di utilizzare il Fondo interbancario di tutela dei depositi, quello che serve proprio per salvaguardare i c/c, ma la soluzione è stata stoppata dalla Ue (per il rischio di 'aiuti di Stato') e dalle difficoltà procedurali che sarebbero insorte. Per questo è arrivato il 'piano b', che prevede di attingere da subito dal versamento (da parte di tutto il sistema bancario) dei 500 milioni di contributo al Fondo interbancario previsti per il 2015, insieme all'anticipo del contributo dei prossimi 3 anni. A questi 2 miliardi, dunque, si aggiunge una linea di liquidità, a titolo oneroso e che peserà solo sulle big (Intesa, Unicredit e Ubi), per garantire l'operatività corrente.
Ed è arrivato anche l'ok dalla Ue, che non rileva problemi per la concorrenza. Come dettaglia infatti la Commissione europea in un terzo comunicato, il Fondo di risoluzione "erogherà 3,6 miliardi di euro alle banche ponte, per capitalizzarle e per coprire la differenza negativa fra gli attivi trasferiti e le passività. Conformemente alla normativa europea, l'operazione sarà finanziata dai contributi del settore bancario italiano al fondo di risoluzione. Le misure comprendono anche un trasferimento di attivi deteriorati dalle banche ponte a una nuova società veicolo per la gestione degli attivi. Il Fondo di risoluzione garantirà questa misura concernente gli attivi deteriorati rafforzando ulteriormente i bilanci delle banche ponte. Il beneficio connesso a tale garanzia è stato quantificato approssimativamente in 400 milioni di euro di ulteriore supporto del fondo di risoluzione", considerati aiuti di Stato nell'ambito della risoluzione. All'operazione, partecipano gli attuali azionisti e detentori di debiti subordinati, che "hanno contribuito a coprire i costi, riducendo al minimo il fabbisogno di aiuti di Stato secondo i principi di condivisione degli oneri. Inoltre, per limitare le distorsioni della concorrenza, le banche ponte esisteranno solo per un periodo limitato e sarà attuata una politica di gestione prudente".
Al di là della specificità di questi quattro casi di banche da 'salvare', l'impianto complessivo dei nuovi meccanismi di risoluzione continua a far discutere. Attaccano i consumatori: "Il 'bail in' è un "esproprio criminale del risparmio", ideato per "salvare l'azzardo morale dei banchieri". Dal primo gennaio 2016, scrivono Adusbef e Federconsumatori, "i crac bancari e l'omessa vigilanza delle banche centrali, saranno addossati a risparmiatori e depositanti tramite lo sciagurato meccanismo del bail-in". Secondo Unimpresa, il meccanismo minaccia il mercato obbligazionario da 217 miliardi. Uno studio pubblicato dal Parlamento europeo, infine, dice quanto sarebbe costato il meccanismo se fosse stato già attivo durante gli anni della crisi: al fondo di risoluzione (che si attiverà solo nei prossimi otto anni) sarebbe stato richiesto un contributo di circa 72 miliardi, mentre il contributo del settore privato sarebbe arrivato a 153 miliardi.