Banche, non solo Boschi. Commissione d'inchiesta: ecco su cosa far luce
Commissione d'inchiesta sulle banche: il promemoria per gli "investigatori parlamentari"
Certo, per la commissione d'inchiesta sul sistema bancario tanto invocata in quest'ultime settimane per l'esplosione del caso Boschi-Etruria-UniCredit il tempo stringe. Se Dio vorrà, dopo ben un anno e mezzo in cui è stato depositato in Parlamento al termine del crack Etruria-Banca Marche-CariChieti-CariFerrara, la legge vedrà la luce a Montecitorio e la commissione potrà iniziare ad operare con le indagini. Serviranno a qualcosa? Gli addetti ai lavori si dividono fra entusiasti e detrattori.
Considerando il fatto che durerà fino al termine della legislatura (per poi lasciare in eredità il lavoro al prossimo Parlamento), la commissione teoricamente avrà meno di un anno per mettersi all'opera. Tenendo presente poi che sei mesi prima il Quirinale dovrà sciogliere le Camere e di mezzo ci sono pure le ferie, la squadra composta da 20 deputati e senatori disporrà soltanto tre mesi per far luce sulle vicende di malagestio che hanno mandato in fumo i risparmi di 130 mila piccoli ignari investitori e causato il suicidio di Luigino D'Angelo, l'ex operaio Enel di Civitavecchia che ha perso 110 mila euro di liquidazione tutta impiegata in subordinati di Banca Etruria e di Antonio Bedin, il pensionato di Montebello Vicentino che ha visto andare in fumo quasi 500 mila euro di risparmi investiti in azioni della Popolare di Vicenza.
Ce la farà la costituenda commissione a far emergere precise responsabilità, con nomi e cognomi? Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ha spiegato lunedì che "servono almeno due anni, se non un'intera legislatura, per ristabilire la verità". Sarà molto importante capire quali saranno gli ambiti precisi e le finalistà d'indagine che l'organismo, che ha poteri analoghi a quelli della magistratura, si vedrà affidate dalla legge. Dai contorni di questo quadro, si riuscirà infatti a capire se il gruppo di lavoro riuscirà a portare a casa qualcosa.
Forse è utile fare un promemoria per gli "investigatori parlamentari". Al di là del regolamento di conti sul piano strettamente politico sul caso Boschi-Etruria-UniCredit, i casi su cui deputati e senatori saranno chiamati a dire la loro riguardano sicuramente le vicende delle quattro banche del Centro Italia risolte dal governo Renzi nel novembre del 2015. Malagestio che, complici 10 anni di crisi che hanno mandato in fumo 10 punti percentuali di produzione industriale, assieme ad allegri affidamenti in cui gli amministratori bancari hanno chiuso entrambi gli occhi sul merito di credito di clienti "amici", ha portato a un passo dal baratro anche il Montepaschi.
Dopo i Tremonti-bond del 2010 e i Monti-bond del 2012, il salvataggio della banca più antica del mondo sta per toccare allo Stato per la terza volta in soli sei anni. Oltre agli aspetti su cui sta indagando anche la magistratura, c'è da far luce sui primi 100 (grandi) debitori insolventi che attraverso le false dichiarazioni per ottenere il credito (reato di mendacio bancario), combinate con l'insipienza (collusione) dei banchieri senesi, hanno riempito il bilancio dell'istituto di piazza del Campo di 29 miliardi di euro di sofferenze lorde. Voci che dopo il pressing della Bce lo hanno costretto all'ennesimo rafforzamento patrimoniale con fondi pubblici (intervenuti dopo il fallimento del piano privato).
Se è d'obbligo indagare (e pubblicare) i nomi dei principali debitori insolventi (persone giuridiche) delle banche che finiscono in risoluzione o vengono salvate dallo Stato, la commissione dovrà mettere sotto la lente anche le attività delle due Popolari venete (la Popolare di Vicenza disastrata dalla gestione Zonin-Sorato e Veneto Banca del dominus Vincenzo Consoli). Gruppi che per evitare il bail-in dovranno usufruire, come Siena, dei soldi messi a disposizione dal governo Gentiloni con il decreto salva-Risparmio, tramite un'operazione di ricapitalizzazione preventiva.
Al di là dei casi ancora aperti (di trasformazione in Spa) come quello della Popolare di Bari, c'è chi vuole estendere il campo d'indagine anche all'esame di tutti i motivi e gli effetti sul sistema e sulle singole banche da parte della renziana riforma degli istituti popolari (ora sottoposta da mesi al giudizio di costituzionalità da parte della Consulta). Provvedimento varato, sempre con decreto, a gennaio 2015 e che ha costretto anche la Consob ad accendere un faro su movimenti speculativi in Borsa alla vigilia del provvedimento.
Come hanno ricordato la scorsa settimana anche la Commissione europea e un report di Deutsche Bank, i mali del sistema bancario italiano si chiamano "non performing loans", oltre 200 miliardi di sofferenze lorde di cui, secondo uno studio della Fabi (il principale sindacato dei bancari), quasi l'80% nasce da prestiti superiori ai 250 mila euro, deliberati quindi da direttori generali, consigli di amministrazione o di gestione. Ecco che allora vengono chiamate in causa le responsabilità dei top manager dei gruppi tricolori e tornano in mente tutti gli altri casi di gestione bancaria "politica" o in "conflitto d'interesse" dell'epoca pre-Lehman Brothers. Comportamenti opachi e responsabili non poco del Moloch delle sofferenze tricolori.
Si va dalle paccate di miliardi di Npl di Capitalia portati in dote da Cesare Geronzi a UniCredit, che ne hanno contribuito a terremotare lo scorso anno il titolo in Borsa e di cui la banca dopo varie vendite e svalutazioni si è finalmente liberata soltanto a dicembre dello scorso anno, alle numerose ristrutturazioni operate dalla bazoliana Banca Intesa. In primis, ai "clienti anche partecipati" del salotto del Nord Rcs e della galassia Zaleski. Poi, gli imperi immobiliari di Zunino, Coppola, Ligresti e Statuto. Nomi che, se la Commissione d'inchiesta farà bene il proprio lavoro, spunteranno di nuovo fuori a ricordare brutte pagine del capitalismo di relazione di mediobanchesca memoria. Incubi che, a volte, ritornano.