Banche, quel vizietto delle fondazioni: torna la voglia di potere e cedole
Cresce nelle fondazioni la voglia di tornare a “contare” in seno alle banche. Le lezioni del passato non sembrano essere servite a molto
Il lupo perde il pelo ma non il vizio: incassata la “messa in sicurezza” di Mps a spese dei contribuenti italiani e dei bondholder privati istituzionali, e mentre gli azionisti privati (Malacalza in testa) si preparano ad aprire nuovamente il borsellino per ricapitalizzare Banca Carige, il comparto bancario italiano e in particolare il segmento più a diretto contatto con la politica, ossia le fondazioni bancarie, sembra tentato dal tornare all’antico, quasi che le lezioni duramente apprese dalla crisi del 2008 prima e del 2011 poi non siano servite a nulla.
Avere concentrato l’intero patrimonio o quasi solo nei titoli delle banche da cui le fondazioni si staccarono nel 1990 dopo il varo della legge Amato-Ciampi ha portato le stesse a subire perdite pesantissime e a polverizzare in alcuni casi la loro presenza nel capitale degli istituti, come accaduto in casa Mps (dove Fondazione Montepaschi, fino a pochi anni fa sopra il 55% del capitale dell’istituto senese, è scesa allo 0,1%) e Banca Carige (Fondazione Carige, ancora nel 2013 socia al 47%, ha ormai solo più lo 0,3% del capitale della banca ligure), per non parlare dei casi di Banca Marche, CariFerrara, CariChieti, CariCesena, Cr Rimini e Cr San Miniato (dove agli ex soci di controllo è rimasto solo il cerino in mano).
Un peso maggiore le fondazioni sono riuscite a conservarlo in Intesa Sanpaolo (Compagnia di San Paolo è ancora primo socio col 9,89%, Fondazione Cariplo è al 4,68%, Fondazione Cariparo al 3,24%, Fondazione Carifirenze al 2,63%, Fondazione Carisbo all’1,97% e una serie di altre fondazioni hanno poco più dell’1,3%) e almeno in parte in Unicredit (dove Fondazione Cariverona controlla l’1,8%, Fondazione Crt l’1,7% e Fondazione Roma lo 0,4%).
Ma anche qui da “dominus” indiscusse (in Intesa Sanpaolo 10 anni fa le fondazioni controllavano oltre il 25% del capitale, in Unicredit sfioravano il 16%) hanno dovuto accettare l’ingresso nella stanza dei bottoni di nuovi azionisti privati, dai grandi fondi come BlackRock in Intesa Sanpaolo, o Mubadala Investment Company e Capital Research in Unicredit ad azionisti privati come i Malacalza in Banca Carige, in grado di nominare il top management e decidere come modificare il perimetro di attività degli istituti.
Nel mondo delle popolari, tuttavia, la tentazione di “tornare alle origini” (o rimanerci il più a lungo possibile) resta molto forte. Così mentre Gianni Genta, presidente di Fondazione Cassa di Cuneo (primo socio di Ubi Banca col 5,9% del capitale), preme per tornare da una governance “duale” ad una “monistica” come già ha fatto la stessa Intesa Sanpaolo, e a tal fine avrebbe già contattato alcuni altri grandi soci della banca lombarda, come il Monte di Lombardia (azionista al 5,2%), altre fondazioni socie non vedrebbero di buon occhio tale “innovazione”.
(Segue...)