Economia
Bce, Lagarde in cerca d'identità. A Christine manca il guizzo alla Draghi
Il bilancio sull'attività della banchiera centrale francese a un anno dal suo arrivo alla guida dell'Eurotower
È passato un anno da quando Christine Lagarde, già presidente del Fmi, già ministro dell’economia del governo Sarkozy, ha preso il posto di Mario Draghi alla guida dell’Eurotower. Dodici mesi in cui l’espressione “è successo di tutto” potrebbe non bastare per raccontare la più grave emergenza economico-sanitaria in tempi di pace. Nel confermare quindi la politica avviata dal suo predecessore, la numero uno della Bce ha di fatto confermato che l’unico modo per portare avanti l’operato dell’istituzione è quello di procedere ad accaparrarsi altri titoli di stato. Il Pepp, il piano europeo pandemico di acquisto varato nei mesi scorsi è stato mantenuto intatto nelle dimensioni, ovvero 1.350 miliardi di euro.
Mantenere a zero il costo del denaro e negativo allo 0,5% il tasso d’interesse sui depositi è un altro tassello che però ora rischia di essere insufficiente. Da statuto, il compito dell’Eurotower dovrebbe essere quello di mantenere l’inflazione intorno al 2%, una quota giudicata fisiologica dagli analisti per mantenere vigorosi i consumi e il potere d’acquisto delle persone. Ma questo obiettivo in realtà viene mancato clamorosamente ormai da due anni. Negli ultimi otto anni, solo in due occasioni si è arrivati a “flirtare” con questo tetto. E ora la situazione non è molto diversa.
Al di là degli sconquassi che verranno provocati dalla pandemia, è l’intero sistema delle banche centrali a essere entrato in crisi. O meglio, le funzioni storicamente ascritte sono venute meno, e la Bce – così come la Fed – è diventato il litio dei mercati, capace di regolarne artificiosamente gli umori. Quando Mario Draghi imbracciò il proverbiale bazooka nel 2012 lo fece al grido di “Whatever it takes”, qualsiasi cosa serva per salvare l’euro e per mettere in sicurezza i debiti di alcuni Paesi – i famosi Pigs – che rischiavano di implodere a causa delle tensioni portate sul mercato dalla speculazione.
Attenzione, non ci si immagini questi investitori come oscuri architetti di piani contro i Paesi, sorta di massoni della catastrofe. Banalmente, si tratta di operatori del settore che hanno sentito puzza di bruciato e hanno voluto vedere se ci fosse del fuoco vero o si trattasse di un po’ di cenere. Draghi, armato di estintore, ha messo in sicurezza l’intero euro-sistema attraverso il quantitative easing, acquisto massiccio di titoli di stato che ha sgonfiato il rendimento dei btp italiani, con lo spread che era arrivato, nell’autunno del 2011, fino a 571 punti base.
Il problema, semmai, è che la Bce non ha altre armi nel suo arsenale, se non quelle di continuare a comprare titoli di stato e di prestare denaro alle banche a tassi sempre più ridotti. L’assioma da cui partì Draghi era semplicissimo: più soldi girano, più è vantaggioso per gli istituti di credito immetterli nel sistema, maggiore sarà il beneficio delle economie che scuoteranno dei consumi fin lì asfittici. Questo ragionamento ha funzionato in modo efficace negli anni scorsi, ma oggi, con il rischio di incagli che cresce in maniera esponenziale, con una normativa sugli npl da rivedere e con il numero uno dell’Eba Andrea Enria che avverte di una potenziale “bomba” da un trilione sulle banche del continente, diventa difficile immaginare che siano proprio queste ultime a far girare i soldi.
Christine Lagarde, nel frattempo, ha compiuto un anno a Francoforte e lo ha fatto dopo aver attraversato tre fasi: la prima, quella dell’indifferenza generalizzata, in cui nessuno guardava a lei con particolare interesse. Troppo star Mario Draghi, troppo incensato in Italia e all’estero, troppo gravosa la sua eredità. La seconda fase, durata per nostra fortuna pochissimo, è quella di Christine Lagarde “spaccona”. A marzo, mentre la pressione sui titoli di stato italiani tornava a salire, pensò bene di dire: “Non siamo qui per chiudere gli spread”. Una catastrofe: Piazza Affari perse il 17% e il differenziale tra bund e btp salì fino a oltre 300 punti. La terza invece è quella più accomodante, più pronta, più capace di rassicurare i mercati.
Ma c’è un problema: nonostante si sia affannata a dire che la Bce è pronta a usare molteplici strumenti e non uno soltanto, la verità è che servirà ripensare l’intero impianto di azione dell’Eurotower, immaginando stimoli di diverso tipo, non convenzionali. Come non convenzionale fu il QE di Draghi. Le Borse per il momento hanno apprezzato e Piazza Affari, dopo essere scesa anche di oltre un punto percentuale, ha ritrovato il segno positivo, seppur senza grandi picchi verso l’alto. Lo spread è in calo, e il rendimento del decennale non è mai stato così basso. Ma quanto in basso può arrivare? L’Italia non è la Germania e i suoi fondamentali non autorizzano ad avere tassi negativi anche sul lungo periodo.
La stessa Fed, che pure ha prontamente messo mano al portafoglio, così come la Bank of Japan, si trovano ora con frecce spuntate nella faretra. Perché le banche centrali possono sicuramente avere un ruolo importantissimo nella gestione dei rendimenti dei titoli di stato, ma non possono – da sole – raddrizzare un’economia mondiale che mai come quest’anno è andata in sofferenza. Per quello servirebbero azioni di governo fuori dagli schemi e una notevole elasticità.
Il primo compleanno di Christine Lagarde a Francoforte è decisamente meno allegro di quanto si sarebbe potuta aspettare. Non è colpa sua, e ci mancherebbe altro. Ma serve che la politica francese riesca a trovare una spinta ulteriore, un guizzo di creatività “latina” che consenta di mettere a punto nuovi strumenti decisionali. Sfida durissima, ma che va vinta a ogni costo. Whatever it takes.