Economia

Bollorè fa cassa con Universal. Tratta per vendere il 10% a Tencent

Tencent pronta a rilevare il 10% di Universal per 3 miliardi di euro, con opzione per raddoppiare alle stesse condizioni entro un anno

Vivendi si prepara a far cassa trattando la cessione del 10% della controllata Universal Music Group (Umg) a Tencent Music Entertainment, controllata del colosso cinese Tencent sbarcata lo scorso dicembre a Wall Street, sulla base di una valutazione del 100% della major di 30 miliardi di euro.

Tencent otterrebbe inoltre, se i negoziati andranno a buon fine, un’opzione per sottoscrivere entro i prossimi 12 mesi un ulteriore 10% alle stesse condizioni, che se da un lato appaiono superiori alle attuali valutazioni implicite di mercato (circa 25 miliardi per il 100% di Universal), dall’altro sono inferiori alle valutazioni massime indicate da alcuni broker come Jp Morgan (secondo cui Umg potrebbe arrivar a valere fino a 40 miliardi di euro).

vincent bollore
 

Vivendi incassa comunque 3 miliardi e potrebbe raddoppiare nei prossimi mesi, ma la discesa del gruppo che fa capo al finanziere bretone Vincent Bolloré nel capital dell’etichetta musicale di Los Angeles che ha sotto contratto artisti come Ariana Grande o Lady Gaga e nella sua library i brani dei Queen e dei Beatles non si fermerà qui, visto che già lo scorso anno era stata preannunciata l’intenzione di passare dal 100% a poco più del 50% senza passare per un’Ipo. Un modo per velocizzare i tempi e ridurre i costi, capitalizzando al massimo il ritorno d’interesse per un mercato, quello della musica, che solo pochi anni fa sembrava moribondo e invece è tornato a crescere grazie ai servizi di streaming e a quella che Roland Berger chiama la “subscription economy”.

vincent bollore arnaud de puyfontaine
 

Un vero e proprio cambio di paradigma che secondo gli esperti nei prossimi anni poterà sino all’80% dei fornitori servizi e contenuti digitali ad imitare Amazon, Netflix, Spotify e Apple adottando modelli di business a lungo termine basati su relazioni durature tra clienti e aziende, quali appunto quelle create dai servizi ad abbonamento.

Per meglio sottolineare il proprio interesse nei confronti di tale prospettiva, Vivendi spiega di voler anche “esplorare la possibilità di una cooperazione rafforzata” (con Tencent), che potrebbe aiutare Universal Music Group, che nei primi sei mesi dell’anno ha visto gli utili salire del 23,5% annuo a 355 milioni e il fatturato del 6,8% a 2,6% (spinto dal +34,3% segnato dalle entrate legate allo streaming audio) “a cogliere le opportunità di crescita offerte dalla digitalizzazione e dall’apertura di nuovi mercati”.
 

bollore ape
 

Una ricerca che difficilmente verrà condotta nei confronti di Mediaset, da cui i francesi, soci direttamente al 9,6% oltre ad un ulteriore 19,1% attraverso Simon Fiduciaria, sembrano intenzionati a uscire rapidamente dopo il varo di Media for Europe. In questo caso Vivendi, che dopo aver rilevato la partecipazione ad un prezzo medio di 3,7 euro l’ha svalutata a 2,7 euro per azione, potrebbe esercitare il recesso (la cui soglia è fissata a 2,77 euro) o, più probabilmente, spingere i Berlusconi ad un accordo per chiudere il vasto contenzioso legale in corso tra le due società e trovare uno o più investitori interessati a subentrare senza troppi scossoni, così da non mettere a repentaglio il varo (atteso il prossimo 4 settembre) della nuova holding europea del Biscione.

Anche perché l’intera partecipazione in Mediaset vale, ai prezzi d’esercizio del diritto di riscatto, oltre 940 milioni di euro, ben superiore ai 180 milioni di euro massimi che Mediaset si è detta pronta a sborsare per il recesso. Trovare uno o più investitori pronti a subentrare converrebbe dunque tanto a Bolloré quanto ai Berlusconi, col primo che disporrebbe di almeno 7 miliardi di liquidità entro i prossimi 12 mesi per far crescere Vivendi nella “subscription economy, magari a colpi di acquisizioni, i secondi che potrebbero consolidare il progetto di costituire un polo aggregante europeo della televisione generalista “tradizionale”. Due visioni nettamente differenti del futuro che non sembrano in grado di poter convivere molto a lungo sotto lo stesso tetto, tanto più a fronte di un clima di prolungata ostilità tra soci.

Chissà che la mossa in Umg non segnali che il tempo dell’attesa è finito e Vivendi si prepara a chiudere tutte le battaglie rimaste in sospeso, in Italia (con le partite Telecom Italia e Mediaset) e all’estero (col progetto di una “anti-Netflix” europea).

Luca Spoldi