Economia
Buonuscite, Mustier mosca bianca. I supermanager che hanno "sbancato" la Borsa
Il beau geste di monsieur Mustier, mosca bianca nella finanza predatrice
Ora che le navi sono partite e che Jean Pierre Mustier è a tutti gli effetti un ex, i giudizi sul suo operato sono abbastanza eterogenei: c’è chi lo ringrazia per aver tenuto fuori Unicredit dalla politica, chi tutto sommato non disprezza quanto fatto, chi non tollera il progressivo depauperamento degli asset aziendali per fare cassa e chi avrebbe voluto un manager più presente e presenzialista, una rockstar à la Profumo che fosse sempre il parafulmine nei momenti difficili.
Su una cosa però tutti concordano: il gesto con cui si è congedato, rinunciando a qualsiasi forma di buonuscita, è un unicum da applaudire, soprattutto se si pensa che è un caso isolato nel mondo economico del nostro Paese. Dunque Mustier, che già si era tagliato lo stipendio nel 2020 passando da 2,7 milioni a “soli” 900mila euro, ha lasciato sul tavolo anche la parte più lucrativa degli accordi di fine rapporto, mantenendo soltanto il tfr (che gli spetta di diritto in quanto assunto come direttore generale) e a poco meno di 500mila euro di azioni (oggi del valore di 3,6 milioni) vendibili a partire dal 2024.
Il tfr, come per qualsiasi lavoratore dipendente, vale poco meno di una mensilità per anno trascorso in azienda, quindi nel suo caso dovremmo essere intorno ai 280mila euro se si considerano gli emolumenti del 2020, intorno agli 850mila se si guarda invece allo stipendio precedente. Tanti soldi, ovviamente, ma una briciola rispetto a quanto riscosso da altri manager del passato. Prima di andare a fare i conti in tasca – è il caso di dirlo – a parecchi nomi noti, una precisazione d’obbligo. Nessuno scandalo e nessuna estorsione: gli accordi tra le parti sono normali e avvengono in tutti i Paesi del mondo (l’ex numero uno di Exxon Tillerson lasciò la carica con 180 milioni di dollari).
Però l’Italia è un po’ particolare, tanto che a più riprese si sono espressi organi di borsa accendendo fari che si sono rivelati… cerini. Il codice di autodisciplina delle società quotate prevedrebbe che l’indennità non superi un determinato importo o un certo numero di anni e la direttiva europea impone di non superare il biennio. Ma per ora niente, tanto che il Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana nella sua relazione del 2016 diede tre consigli: ridurre l’ammontare delle buonuscite, sospenderne l’erogazione in caso di performance negative, aumentare la trasparenza.
Il risultato di queste raccomandazioni furono i 25 milioni di euro con cui Flavio Cattaneo si congedò da quella che allora si chiamava ancora Telecom. Fu lui stesso a spiegare che non c’era nulla da nascondere o da vergognarsi, poiché la parte variabile dei suoi emolumenti era il 90% degli importi complessivi ottenuti. Solo che non si ricorda una performance aziendale tale da meritare di essere “ricompensata” in questo modo, oltretutto per soli 16 mesi di lavoro.
Andando indietro nel tempo, il primato probabilmente inarrivabile è di Cesare Romiti, il quale percepì nel 1999 l’equivalente di 105 milioni di euro tra patto di non concorrenza e buonuscita. Alessandro Profumo e Matteo Arpe occupano gli altri due gradini del podio. I manager si scontrarono nel 2007, quando Unicredit si fuse con Capitalia e proprio per le frizioni tra le due idee di gestione delle aziende scaturirono le dimissioni di Arpe che gli fruttarono oltre 37 milioni. Profumo, tre anni dopo, ne ricevette addirittura 40 per lasciare l’ex Credito Italiano. L’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, ha lasciato il timone dopo 14 anni ricevendo 13 milioni di buonuscita oltre alle altre spettanze. Qui il problema non riguarda tanto la cifra, ma piuttosto l’opportunità visto che il manager è attualmente sotto indagine per accertare se vi siano state sue responsabilità nel crollo del Ponte Morandi.
E pensare che Castellucci si classificherebbe all’ultimo posto nella top-10 delle dieci buonuscite più ricche di sempre, scalzando Andrea Guerra, artefice del “miracolo” Luxottica, che lasciò nel 2016 con 11,3 milioni. Lo precede, infatti, oltre ai già citati Romiti, Profumo e Arpe, anche Luca Cordero di Montezemolo (27 milioni per 13 anni in Ferrari). Sempre dalla Fiat è uscito ben accompagnato anche Paolo Cantarella, che per 25 anni nell’azienda ha ricevuto 20 milioni.
Ancora: Cesare Geronzi per un anno da presidente di Generali riuscì a strappare un assegno da 16,7 milioni.
Cifra analoga anche per Roberto Colaninno quando uscì da Olivetti che aveva usato per confezionare la scalata a Telecom. Infine, 15 milioni per il deus ex machina di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, uno in meno per Carlo Pur Negri per uscire da Pirelli Re.
Facendo un rapido calcolo, i 12 manager citati hanno assommato oltre 340 milioni di euro solo di buonuscite. Pensare che qualcuno possa decidere di non sedersi neanche a questa tavola così riccamente imbandita, specie in un anno drammatico come quello che stiamo vivendo, non può che far levare il cappello. Chapeau, monsieur Mustier.