Economia
Calenda cannoneggia Landini: “Ha paura di andare contro Elkann”
Il senatore e leader di Azione lancia strali contro il sindacato. Dal ruolo dello Stato al futuro dell’automotive: ecco che cosa succederà
Il senatore, papà della riforma di Industria 4.0 accusa i governi di aver piegato il capo a Fca prima e a Stellantis poi sotto il costante ricatto degli Elkann di spostare altrove la produzione
Carlo Calenda spara ad alzo zero contro la galassia Elkann, ovvero Stellantis e gruppo Gedi. Il senatore leader di Azione, infatti, rilascia un’intervista bomba al Corriere partendo dalle ultime vicende di Marelli. Lo stabilimento di Crevalcore, un tempo di proprietà di Exor prima di essere ceduto a Kkr così come tutto lo storico marchio di componenti, verrà chiuso “per colpa dell’auto elettrica”. O almeno, è questa la vulgata. Solo che diversamente da altre occasioni, secondo Calenda il sindacato non è intervenuto a dovere. E non l’ha fatto, sempre secondo il senatore di Azione, perché in qualche modo succube di John Elkann che edita Repubblica, oramai unica voce della sinistra pro-sindacato in Italia. Di più: “la Cgil bolognese ha mandato una circolare in cui invitava tutti gli iscritti a presentarsi ai cancelli per difendere il sindacato, Cioè Landini, da Calenda. Cose da stalinismo anni ’50. Si sono presentati in trenta della Fiom. Quando io sono arrivato loro hanno fatto questa sceneggiata di andarsene ma poi sui social a me sono arrivate decine di messaggi di operai della Marelli che lì davanti non c’erano perché era sabato e l’azienda era chiusa. Gli operai sanno benissimo che non è stato fatto niente per difenderli”.
Insomma, un attacco frontale che procede quando, dalla Marelli, si passa alla crisi dell’intero comparto automotive. “Negli stabilimenti francesi - incalza Calenda - si producono 1 milione di vetture contro le 400 mila prodotte in Italia. Quindi quello che sta succedendo è che Landini che faceva la guerra totale a Marchionne quando in Italia si produceva un milione di veicoli commerciali e auto, oggi che ne produciamo 650 mila (cioè il 30 per cento in meno), sta zitto perché John Elkann ha fatto la mossa di comprarsi il maggior quotidiano nazionale della sinistra italiana”.
Il senatore, papà della riforma di Industria 4.0 accusa i governi di aver piegato il capo a Fca prima e a Stellantis poi sotto il costante ricatto degli Elkann di spostare altrove la produzione. Qui però c’è un tema che deflagra potentemente: nell’azionariato di Stellantis il secondo socio è lo Stato francese che esercita un controllo costante e pesante e non disdegna qualche intromissione di troppo. Macron e i suoi, infatti, hanno sempre mostrato che l’economia è libera finché sta bene a Parigi. E in Fincantieri lo ricordano ancora con terrore dopo il disastro dei cantieri Saint Lazare. L’Italia non ha strumenti di convincimento perché da anni ha smesso di farsi valere. Eppure sarebbe bastato ricordare a Stellantis che se la Fiat esiste ancora è perché alla fine degli anni ‘90 ci si inventò lo strumento degli incentivi alla rottamazione per ridare vigore a un colosso al collasso (se si permette un gioco di parole). Nessuno ha alzato la mano e ha chiesto ad Elkann “dove ve ne andate?” quando si è spostata la sede legale in Olanda.
Ora con l’accordo di Mirafiori in cui si produrranno le auto elettriche come la 500, si mantiene in Italia un pezzetto di produzione. La testa di Stellantis però rimane totalmente francese, prova ne sia la composizione del cda a maggioranza transalpina, l’ad Carlos Tavares di emanazione francese e, come detto, il peso dello Stato francese.
Quando Calenda dice che il sindacato è succube degli Elkann dice una verità perché ricorda come con Fiat/Fca/Stellantis si sia sempre cercato di avere un dialogo aperto. Sbaglia però il senatore quando dice che è iniziata la definitiva crisi dell’automotive. L’accordo di Mirafiori è una gran bella notizia e permette al Paese di guardare con un pizzico di ottimismo in più al futuro. Spiace invece per Marelli, storico marchio uscito dalla galassia Exor e oggi costretto a dismettere uno stabilimento con tutto ciò che ne consegue. La transizione green del settore automotive è stata condotta senza pensare ai costi per i produttori sia in termini economici sia di risorse umane. E dimenticando che una vettura elettrica oggi, se non adeguatamente incentivata, ha un costo proibitivo per molti italiani.
Chiosa finale: su 5.000 euro di incentivi statali solo 1.000 rimangono in Italia, gli altri 4.000 diventano appannaggio di produttori stranieri che non hanno interessi sul nostro territorio. Va bene l’economia di mercato, ma così si esagera.