Economia

Carenzo (Apsti) ad Affari: "Carbon tax per sostenere la bioeconomia"

di Mario Bonaccorso*

Bioeconomia, agro-alimentare, nuove imprese e dopo Expo. Sono questi i temi che Affaritaliani.it affronta in questa intervista con Gianluca Carenzo, direttore generale del Parco Scientifico di Lodi e presidente di Apsti, l’Associazione dei parchi scientifici e tecnologici italiani. “La tecnologia – sostiene Carenzo – deve essere ai primi posti nelle classifiche delle priorità”. E per sostenere la bioeconomia occorrono appalti pubblici verdi e una carbon tax.

Ci faccia capire: cos’è esattamente un parco scientifico?
"Il parco scientifico e tecnologico è una organizzazione gestita da professionisti dell’innovazione, che si occupa di offrire servizi alle imprese per favorire il trasferimento tecnologico dalla ricerca. Almeno questa è la definizione riconosciuta a livello internazionale. Nella realtà dei fatti in Italia i parchi scientifici, almeno negli ultimi anni, dopo il periodo della crisi, si stanno riaffermando sempre di più come luoghi dell’innovazione, capaci di usare relazioni e network per produrre servizi utili al mercato, start-up innovative e  anche gestire strumenti di policy come ad esempio i cluster tecnologici".

Il parco di Lodi ha una vocazione agro-alimentare. Cosa significa innovazione in questo settore?
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Il settore agroalimentare ha una catena del valore lunghissima, si parte dalla produzione primaria e si arriva fino al supermercato (adesso anche con la spesa a casa), oltre alle influenze nei settori come quello dell’ambiente e delle agro-energie. Questo porta a una elevata frammentazione e a una necessità delle imprese di capire come guidare i processi di innovazione. PTP-Science park offre servizi all’avanguardia che vanno dal miglioramento delle varietà vegetali alla tracciabilità delle produzioni tipiche e crea start-up anche in settori nuovi come, ad esempio, l’agricoltura di precisione. La tutela e il rilancio del nostro settore agroalimentare passano per forza dall’innovazione e l’Italia deve confermare di essere il leader indiscusso a livello mondiale, come si aspettano tutti".

Siete stati uno dei protagonisti dell’Expo Milano 2015. Qual è, secondo lei, l’eredità che Expo 2015 ha lasciato all’agro-alimentare italiano e alla bioeconomia?
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Expo è stata una straordinaria piattaforma globale per mettere in vetrina i nostri gioielli. Adesso tutte le relazioni costruite in quei sei mesi vanno messe a sistema e valorizzate. Parliamo ogni giorno con piccoli produttori che hanno capito che oggi il mondo è veramente a un passo ma bisogna aiutarli a produrre e vendere meglio, cogliendo anche le sfumature che oggi ci parlano di un consumatore globale fortemente cambiato ma attento alla qualità e al made in Italy".

Sull’area Expo il governo intende creare un Human Technopole dedicato alle scienze della vita. Un progetto che oggi appare un po’ fumoso, tanto che il rettore dell’Università Statale di Milano, Gianluca Vago, se n’è tirato fuori. Qual è il suo pensiero al riguardo?
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Human Technopole è un progetto ambizioso, molto focalizzato per ora sulla ricerca di base ma un passo importante e decisivo per riportare attenzione sull’Italia anche parlando di scienza e tecnologia. Ora vanno studiate le mosse per metterlo in rete con gli attori esistenti e le imprese sul territorio, quelle all’estero e creare un meccanismo per valorizzare anche la ricerca che sarà creata lì dentro. Da questo punto di vista come rete Apsti (Associazione Parchi scientifici e tecnologici italiani) siamo pronti a ragionare con IIT (Istituto Italiano di Tecnologia, ndr) sul come".

Anche sulla strategia nazionale per la bioeconomia, chiesta a gran voce dall’Unione europea, l’Italia resta un po’ indietro. Secondo il Miur dovrebbe essere presentata entro la prossima estate. Quali punti a sua parere non possono mancare dal piano italiano?
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Dal mio punto di vista va analizzato bene come l’Italia vuole posizionarsi nel contesto globale. Siamo un paese povero di materie prime ma ricco di talenti e competenze nel settore della chimica industriale (ora nella chimica verde). Penso che vadano fatti accurati investimenti per rafforzare chi fa ricerca e innovazione, premiando chi già riesce ad attirare finanziamenti pubblici o privati dall’estero. La tecnologia deve essere ai primi posti nelle classifiche delle priorità. Occorre inoltre creare competenze laddove siamo meno forti, ossia nello sviluppo del business e nell’accesso facilitato al mercato dei capitali (sia debito che equity)".

Alla Conferenza di Utrecht di aprile si è parlato apertamente di introdurre un sistema di appalti pubblici verdi per i bioprodotti e una carbon tax per disincentivare l’uso delle fonti fossili.  Cosa ne pensa? Sono misure applicabili in Italia?
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Ritengo di sì. L’Italia deve essere all’avanguardia in queste normative sulla green economy. Ci sono iniziative in corso che vanno in quella direzione. Se fossimo in grado di anticipare rispetto ad altri paesi l’applicazione delle direttive, faremmo un passo avanti nel rendere più attrattivo tutto il paese".

Come Parco scientifico siete anche incubatore di start-up. Qual è il ruolo che giocano oggi le start-up nella bioeconomia europea? Di quali misure regolatorie e fiscali hanno bisogno?
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Le start up oggi hanno bisogno di tre cose: 1. partire in fretta: meno burocrazia e accesso ai capitali, da questo punto di vista siamo ancora un po’ in dietro. Basta pensare alle risorse (tempo e denaro) che servono ancora oggi per fare un aumento di capitale di una azienda. 2. finanziamenti certi. Non è concepibile attendere da un ente per due anni o più il pagamento di un contributo su una ricerca conclusa e rendicontata. 3. andare sul mercato: condizioni di mercato regolato preferenziale aiuterebbero, così come anche un rapporto di maggior collegamento sulla formazione delle competenze con le università Noi a breve firmeremo con quattro atenei e altri importanti soggetti il lancio del primo master italiano sulla Bioeconomia e sulla Economia Circolare".

*www.ilbioeconomista.com