Economia

"Caro Renzi, missione incompiuta". Parla il presidente di Federmeccanica

di Andrea Deugeni
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Per il presidente del Consiglio Matteo Renzi "nel primo anno e mezzo di governo la priorità è stata il salvataggio del l'industria manifatturiera e il lavoro per passare dal segno meno al segno più di tutti gli indicatori economici. Questa prima fase aveva come scopo portare l'Italia fuori dalle sabbie mobili e ora possiamo dire: missione compiuta". E' d'accordo?
"La missione è solo in fase di svolgimento. Non è compiuta. Condivido gran parte delle affermazioni del premier, ma non possiamo assolutamente dire che la missione è terminata".

Perché?
"Nel Paese si registra una ripresa della fiducia. Le famiglie stanno rilanciando i consumi. Le banche confermano che i mutui per le case hanno ripreso ad aumentare. Ma la ripresa economica è legata molto al consumo delle famiglie, in parte facilitato dai risparmi sul costo dell'energia in bolletta. Savings (risparmi, ndr) che hanno dato un po' di ossigeno ai bilanci famigliari. Se andiamo ad osservare però la realta della produzione industriale tout court, oltre alle luci, ci sono anche tante ombre".

A cosa si riferisce?
"Nei primi sei mesi dell'anno l'industria meccanica ha registrato una ripresa dell'1,8% rispetto al primo semestre del 2014. Ma se consideriamo che il settore dell'automotive è cresciuto da solo del 25,8% e la media finale è dell'1,8% significa che la gran parte degli altri comparti, come quello delle imprese metallurgiche, di costruzione degli apparecchi elettrici o degli elettrodomestici, sono con il segno meno. Negli ultimi tempi, si è ripreso il settore delle macchine utensili ma solo grazie alla Sabatini, misura che si occupa del finanziamento degli investimenti in beni strumentali. Solo l'export di quote significative di prodotto ha consentito alle imprese metalmeccaniche di tenere e di fronteggiare il crollo interno dalla domanda. Durante la crisi, nonostante l'export, il comparto ha perso 30 punti percentuali. Dopo sette anni il 25% della nostra capacità produttiva è andata in fumo. Il nostro è un bilancio post-bellico e, con l'1,8% medio nel primo semestre, dobbiamo ancora farne di strada per recuperare quanto perduto e riprendere la nostra identità manifatturiera nel mondo".

Quindi, siamo appena all'inizio...
"Esatto. Si inizia a vedere qualche spiraglio di luce, contesto in cui bisogna anche tenere conto però, senza essere allarmisti, degli effetti sul settore automotive del caso Volkswagen. L'unico settore che, come detto, ha trainato l'intera produzione in questo primo semestre. Considerando poi la crisi di alcuni Paesi emergenti, il quadro non è assolutamente confortante".

Cosa dovrebbe fare il governo Renzi per far si che la forte ripresa del comparto delle quattroruote si diffonda anche in tutti gli altri settori, consolidando la crescita?
"Innanzitutto, portare a compimento una spending review seria e incisiva nella Pubblica Amministrazione per eliminare gli sprechi e raccogliere risorse da destinare agli investimenti pubblici, come infrastrutture, banda larga, ecc... Non possiamo caricare tutto sulle spalle dell'export. E' necessario rilanciare la domanda interna. Un Paese come l'Italia, che è la seconda manifattura d'Europa, la quinta nazione per esportazioni nel mondo e l'ottava potenza economica internazionale, non può contare solo sull'export. Bisogna far crescere gli investimenti pubblici che trainano poi anche quelli privati. E ciò si può fare solo tagliando gli sprechi nel pubblico. La seconda leva di fondamentale importanza da azionare è quella delle tasse".

A cosa si riferisce in particolare?
"Non è possibile che in Italia ci sia ancora la tassa sugli imbullonati. Abbiamo chiesto di toglierla e su questo il governo Renzi non ha dato ancora una risposta. C'è poi da ridurre il fiscal drag nella tassazione sul lavoro e rilanciare, come ha fatto la Germania, in maniera strategica la politica industriale nazionale, orientata in particolare al paradigma di Industry 4.0 della smart factory, paradigma che rivoluzionerà il modo di fare impresa. Per rilanciare la fiducia dobbiamo accelerare su queste misure, come anche la defiscalizzazione del salario aziendale. E' vero, come dice il governo, che imprese e sindacati devono andare verso la contrattazione di secondo livello, ma l'esecutivo deve metterci i soldi per decontribuire il salario aziendale legato alla produttività e ai risultati di crescita dell'azienda". 

Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha commentato i dati sulla disoccupazione che è scesa sotto il 12%, spiegando che i numeri dell'Istat confermano "che la ripresa è una realtà". Condivide l'entusiasmo del governo anche sul fronte del lavoro?
"Non possiamo pretendere di vedere nuova occupazione con un Pil nazionale che quest'anno aumenterà solo dello 0,8-0,9%. Con un aumento di questo grandezza nella ricchezza interna, non si creano nuovi posti di lavoro. E' necessario un tasso di crescita annuo di almeno il 2% per creare vera occupazione, il cui vero rilancio passa dalle politiche attive: il Paese registra un tasso di disoccupazione giovanile oltre il 40% e le imprese meccaniche fanno difficoltà a reperire professionalità adeguate".