Economia

Cattolica Assicurazioni e PopSondrio,ultimi fortini del 'capitalismo popolare'

Luca Spoldi

La banca chiude la porta alla richiesta del fondo Amber. I due gruppi cercano di resistere alla trasformazione in Spa. Ecco perché

Cosa accomuna Cattolica Assicurazioni e Banca popolare Sondrio? A prima vista poco o nulla, a ben guardare il timore che l’apertura a governance più “market friendly”, come la trasformazione in Spa, possa comportare la perdita del controllo da parte del territorio e dei soggetti economici (e politici) storicamente vicini ai due gruppi. Cosa che peraltro finisce con l'innescare una reazione negativa del mercato nei confronti dei due titoli, oggi entrambi in calo di oltre il 2% a Piazza Affari e con bilanci negativi sugli ultimi 12 mesi (-5,3% a ieri l’assicuratore veronese, -17% l’istituto valtellinese). 

cattolica assicurazioni
 

Cattolica Assicurazioni, società cooperativa con un sistema di governance monistico, si trova da qualche tempo alle prese coi problemi seguiti alla decisione di defenestrare, lo scorso 31 ottobre, l’allora amministratore delegato Alberto Minali (ex numero due di Generali, approdato nel gruppo veronese nel 2017), sostituito dal direttore generale Carlo Ferraresi (approdato in Cattolica nel 2012 dopo un’esperienza maturata come managing director di Credit Agricole Corporate & Investment Bank e prima ancora in Marsh e nelle stesse Generali).

Minali era entrato in rotta di collisione col presidente (dal 2006) di Cattolica, Paolo Bedoni su tematiche relative all’organizzazione societaria, gli scenari strategici e i rapporti con i soci e col mercato. Nella sostanza, come scrisse Il Corriere della Sera, Minali sarebbe rimasto un “corpo estraneo” alle logiche che dominano la compagnia veronese, la “spinta all’apertura e al cambiamento” di Minali avrebbe così trovato crescenti “resistenze ideologiche e personali” sino ad arrivare alla rottura. 

Una rottura sulla quale la stessa Ivass vuole vederci più chiaro e che, secondo voci mai confermate ma neppure smentite, si sarebbe consumata da un lato per la contrarietà di Bedoni alla trasformazione in Spa della compagnia, come avrebbe suggerito Minali (ipotesi che aveva preso consistenza dopo l’ingresso della Berkshire Hathaway di Warren Buffett nell’azionariato col 9,047%), dall’altra per la contrarietà di Minali al livello di emolumenti e altri privilegi accordati a Bedoni, che ora potrebbe secondo alcuni fare un passo indietro cedendo la poltrona a Carlo Fratta Pasini (in uscita da Banco Bpm).

I riflettori del mercato sono ora puntati sull’assemblea del prossimo 6-7 marzo convocata per deliberare in merito a una serie di modifiche statutarie dal Cda in risposta alla richiesta avanzata in tal senso da soci di minoranza che rappresentano il 2,5% del capitale, non senza aver espresso la contrarietà del consiglio alle modifiche stesse (rinnovo delle regole di composizione del Cda, rafforzamento dei requisiti di indipendenza e professionalità dei consiglieri, introduzione di un limite d’età e di mandati, ridefinizione del ruolo e dei poteri del presidente) e la sua intenzione di agire per difendere lo status quo anche impugnando “ove ne ricorrano i presupposti, la delibera che accogliesse la proposta” di modifiche statutarie.

Se a Verona lo scontro tra fautori e avversari del mercato sta per giungere al culmine, in Banca popolare Sondrio (unica insieme a Banca popolare Bari, a non essersi ancora trasformata in Spa tra le popolari italiane con attivi superiori agli 8 miliardi di euro) il Cda ha deciso di non accogliere le domande di ammissione a socio presentate da Amber Capital Uk e Amber Capital Italia Sgr. Decisione assunta in quanto a parere dell’istituto guidato dal direttore generale Mario Alberto Pedranzini non sussisterebbero le condizioni previste dallo statuto e dall’articolo 30 del Testo Unico Bancario per il superamento del limite al possesso azionario dell’1%.

Amber, secondo il board di Sondrio (avallato da pareri legali esterni) non rientrerebbe infatti tra gli “organismi di investimento collettivo in valori mobiliari” che possono essere esentati dall’osservare tale limite, da cui la decisione di bloccarne l’ammissione nel libro soci. Una decisione che gli analisti di Mediobanca Securities ritengono possa essere giudicata “come una mossa non market friendly” mentre Amber stesso, in una nota in cui precisa di non aver ancora ricevuto alcuna lettera di contestazione formale della banca ma di aver solo preso visione di un comunicato stampa dell’istituto, si definisce “sconcertato”, avendo “comunicato tempestivamente il superamento della soglia del 5% alla banca”. 

Per il fondo, che ha investito in Banca popolare Sondrio un’ottantina di milioni e che punta sulla sua trasformazione in Spa, la decisione del board è “contraria alla democrazia azionaria”. A Sondrio sembrano voler continuare a fare spallucce, ma, avvertono gli analisti di Mediobanca Securities, il rischio ora è che si generi “consistente overhang sull’azione, data la liquidità limitata” del titolo, ossia che possano arrivare ordini di vendita robusti e tali da deprimere le quotazioni. Peccato, concludono gli analisti, perché  la “visione fondamentale” sull’istituto resta intatta e “quello che potrebbe portare a un significativo re-rating sarebbe la conversione in Spa”, visto che “potrebbe aprire a scenari M&A, dati i multipli bassi per una banca ben gestita di piccole dimensioni con una forte rete in Nord Italia e un Cet di circa il 16%”. 

Come dire che per Banca popolare Sondrio, come in fondo anche per Cattolica Assicurazioni, il vero oggetto del contendere al di là del tifo pro o contro il mercato e pro o contro regole di governance “al passo coi tempi” resta sempre il controllo, che in caso di trasformazione in Spa potrebbe passare dai soci storici a nuovi azionisti, capaci di più consistenti investimenti. Un tema che in Italia, per lungo tempo patria del motto “imprenditore ricco, impresa povera”, continua a non trovare soluzione.