Economia

Cimbri: "Non vogliamo Mps. Poste? Non è una scelta strategica"

di Marco Scotti

Il dominus di Unipol si diverte a smontare ogni ipotesi finanziaria: ecco che cosa c'è dietro

Cimbri: "Non vogliamo Mps. Poste? Non è una scelta strategica"

"No". Chi conosce Carlo Cimbri sa bene che l'istrionico presidente di Unipol non ama i giri di parole. In molti, a Milano, ricordano ancora la mitologica conferenza stampa che ha sancito la conclusione del rapporto tra Bper e Piero Montani sulle note di "Senza parole" di Vasco Rossi. E oggi questo "no" arriva a precisa domanda da parte dei giornalisti: Bper, di cui Unipol è il primo azionista, rileverà quote di Mps nei prossimi giorni quando il governo cederà un'ulteriore fetta dell'istituto senese? No, dice Cimbri. E c'è da credergli... in parte. 

Il presidente di Unipol sa bene che in questo momento qualsiasi mossa sarebbe un vantaggio per tutti gli altri player interessati all'istituto senese. D'altronde, la cura da cavallo applicata da Luigi Lovaglio ha sortito i suoi effetti, e i risultati del primo semestre 2024 parlano chiaro: utile netto di 1,16 miliardi di euro, un incremento su base annua dell'87%, e ricavi totali di 2,03 miliardi, sostenuti da un margine d’interesse e da una crescita delle commissioni. Il prossimo 8 novembre verranno annunciati i conti dei nove mesi, ma le attese sono positive, con la banca che oggi ha una valutazione di mercato superiore ai 6 miliardi di euro, dopo un aumento di capitale complicato che è stata la vera scommessa (vinta) da parte di Lovaglio. 

E dunque Cimbri dice "no" alla possibile fusione tra Bper e Mps (l'istituto emiliano vale poco meno di 8 miliardi in Borsa) perché le condizioni, oggi, non sono quelle giuste. Serve capire quanta parte il Mef deciderà di vendere nella prossima operazione. Perché nessuno vorrebbe entrare in un istituto in cui sia ancora presente lo Stato. Senza dimenticare che esiste per Siena anche l'ipotesi, mai del tutto accantonata, di poter correre sulle sue gambe. Non la soluzione preferita da Lovaglio, a quanto risulta ad Affaritaliani, ma una via percorribile e sostenibile. 

D'altronde, le alternative non sono molte. Unicredit è impegnata con Commerzbank; BancoBpm da quell'orecchio non ci sente. Chi rimane? L'unica altra ipotesi percorribile sarebbe quella che porta a Crédit Agricole. I francesi hanno già dimostrato nell'operazione con il Creval (guidato proprio da Lovaglio) che hanno interessi in Italia. Ma la strategia non potrebbe essere la stessa adottata con la banca valtellinese: allora si sceglie di incorporare il marchio sotto il cappello della "banque verte", un'operazione suicida se venisse applicata in Toscana, dove è proprio la riconoscibilità della banca più antica del mondo. 

Ai punti, per ora, resta ancora in testa Bper ma certo lo scenario resta incerto. Ma c'è un dettaglio che va ulteriormente descritto: uno degli asset più interessanti dell'istituto modenese è rappresentato dal private banking di Cesare Ponti, cioè la gestione dei grandi patrimoni sopra i 500mila euro. Se si dovesse fondere con Bper, che cosa succederebbe ai marchi del gruppo in materia di wealth management? Oggi Banca Cesare Ponti, la cui sede in Piazza del Duomo a Milano rimane una delle più suggestive, è un autentico gioiellino. E domani che cosa potrebbe succedere anche dal punto di vista del cosiddetto naming? Si vedrà.

Infine, un'ulteriore chiosa su Cimbri. Il quale, dopo aver smontato l'ipotesi Mps, ha parlato anche di Poste, e ha cassato anche questa possibilità. Come noto, il Mef lavora a una cessione del 14% in Poste Italiane, eppure anche qui Cimbri è categorico: “Strategicamente, no. Certo, la direzione Finanza di Unipol potrebbe valutare qualche acquisto di titoli nell’ambito dell’offerta pubblica, ma solo per esigenze di gestione patrimoniale, un investimento finanziario, e non strategico". Le parole sono chiare, come altrettanto chiaro è il messaggio: Unipol è in cerca di altro. Ma di cosa, esattamente? Citando Vasco, forse la ricerca di Cimbri è su "un senso". Quale? Ah, saperlo...

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