Economia
Cina, i brand mondiali mollano lo Xinjiang. Boicottaggio per H&M e Nike
Le due aziende hanno assicurato di non rifornirsi di cotone proveniente dalla regione autonoma dove vive la minoranza musulmana degli uiguri
Il ‘caso Nike’ si verifica all’indomani della stessa polemica tra le autorità di Pechino e il gigante svedese dell’abbigliamento, H&M, che anch'esso aveva affermato di non utilizzare cotone dallo Xinjiang. Dopo queste dichiarazioni, i suoi prodotti sono spariti dalla vendita sulla piattaforma Taobao, l’e-commerce del gigante Alibaba. Questa nuova presa di posizione forte da parte di H&M è arrivata dopo la pubblicazione di un rapporto di un thinktank, Australian Strategic Policy Institute, che indicava nel brand un beneficiario del lavoro forzato nella regione autonoma cinese. Già lo scorso anno H&M aveva annunciato la fine della collaborazione con un produttore cinese accusato di lavoro forzato ai danni delle minoranze etniche della regione. Un comunicato di H&M Cina ha però sottolineato che “la sua decisione non rappresenta alcuna presa di posizione politica”, confermando i suoi investimenti di medio-lungo termine nel Paese asiatico.
Già ad inizio 2020 altri noti brand quali Adidas, New Balance e Burberry, membri della Better Cotton Initiative, avevano sospeso i rifornimenti in materia prima proveniente dallo Xinjiang per mancanza di garanzie sul non utilizzo di lavoro forzato nella catena di approvvigionamento. Ad aver sospeso le transazioni sul cotone dello Xinjiang sarebbero anche 12 firme giapponesi, tra cui Muji e Uniqlo. Quello che si delinea come un braccio di ferro tra il mondo del fashion e le autorità di Pechino fa seguito all'introduzione di sanzioni contro funzionari cinesi, annunciate lunedì scorso da Unione Europea, Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada per presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang.