Economia
Coronavirus e sharing economy, quale futuro per il settore dopo la pandemia?
Se c’era un settore su cui tutti scommettevano fino a qualche mese era quello della cosiddetta sharing economy. Secondo uno studio della Università di Pavia entro il 2025 il fatturato della nuova economia della condivisione avrebbe potuto raggiungere nel nostro paese i 25 miliardi di fatturato. Solo nel 2018 le nuove start up del settore in tutto il mondo hanno raccolto 4 miliardi di dollari di finanziamenti.
Secondo una ricerca di Coldiretti e del istituto di ricerca ixè dell’Ottobre dello scorso anni, 4 italiani su 10 utilizzavano qualche servizio di sharing economy. Poi è arrivata la SARS-CoV-2, con le sue terribili conseguenze sul piano della salute e su quello economico, e anche la condivisione si è interrotta. Uber ha assistito a un calo degli affari dell'80% e gli affitti di case di Airbnb sono stati annullati in massa a causa dei lockdown. In risposta, la società di noleggio con conducente ha licenziato 6.700 dipendenti, senza contare i suoi autisti, e chiuso 45 uffici.
Allo stesso modo Airbnb ha tagliato 1.900 posti di lavoro. Insomma molti si sono subito affrettati a decretare che il coronavirus metterà una pietra tombale sul settore della condivisione. Certo il colpo è stato duro e probabilmente le stime entusiastiche sui livelli di crescita della sharing economy dovranno essere riviste al ribasso, e come potrebbe essere altrimenti con la crisi economica che la pandemia porterà con sè nei prossimi mesi? Ma da qui a dare per morto uno dei settori che aveva mostrato i maggiori tassi di crescita negli ultimi anni ce ne corre.
È importante riconoscere, innanzitutto, che l'effetto dei lockdown sull'economia della condivisione non è stato uniforme. Mentre Uber e Airbnb hanno subito enormi perdite, altre società hanno prosperato e alcune start-up stanno inseguendo proprio le opportunità create dalla pandemia. Ad esempio, Amazon Flex, il servizio di consegna affidato a semplici cittadini in piena filosofia sharing economy, ha visto la registrazione di molti nuovi corrieri da marzo.
Altre aziende come Instacart, DoorDash e Shipt — che forniscono rispettivamente generi alimentari, ordini di asporto di ristoranti e immagazzinaggio di merci — hanno assunto tutti più lavoratori e gli affari stanno procedendo a buon ritmo. Ma anche nel nostro paese esistono esempi di società della sharing economy, come la piattaforma di e commerce in blockchain, Coinshare, che ha realizzato performance record, sia come numero di nuovi utenti che come volume di acquisti, proprio nei mesi del lockdown.
Ciò che queste aziende hanno in comune è che forniscono servizi più richiesti mentre le persone stanno a casa e si isolano, consentendo ai clienti di limitare il tempo che trascorrono all'esterno e le loro interazioni con gli altri. Le sfide che affrontano Uber e Airbnb, quindi, non sono sfide inerenti all'economia della condivisione, come affermano alcuni rapporti, ma al settore dei viaggi e dell'ospitalità che sta soffrendo una delle peggiori crisi degli ultimi cinquant’anni. Anche le più tradizionali aziende di trasporto hanno subito fortissimi cali nel numero di passeggeri a causa della pandemia, sia che si tratti di aereo, treno, autobus o taxi.
Allo stesso modo, anche il settore alberghiero ha sperimentato una bassa occupazione e sta anticipando uno scatto di fusioni e acquisizioni, mentre le catene alberghiere riducono le perdite come possono o cercano di sopravvivere, fino a quando le restrizioni di viaggio non diminuiranno. Quindi la crisi economica ha investito tutti i settori, ma colpendo particolarmente il settore dei trasporti e dei viaggi, dove le grandi aziende di sharing economy avevano concentrato gran parte del loro business.
Ma quei settori, invece, come l’ecommerce o il delivery, che invece hanno mostrato segnali di crescita, hanno visto proprio le aziende di sharing economy, registrare spesso le migliori performance in termini economici. Il settore, infatti, dopo un primo periodo di sbandamento sembra mostrare importanti segnali di risveglio e sopratutto grandi doti di adattamento alla nuova situazione.
La pandemia ha spianato la strada a un’altra economia della condivisione, che mira a generare profitti creando mercati online dove s’incontrino l’offerta e la domanda. Startup di questo genere sono riuscite a trasformarsi, tramite quello che in gergo si definisce“blitz-scaling” ( letteralmente si potrebbe tradurre in crescita repentina) in grandi aziende globali. Simili dimensioni promettevano grandi introiti e attiravano enormi capitali da parte di finanziatori che vedevano in queste società il futuro della economia.. Uber e Bird prevedono adesso una migrazione dai trasporti pubblici alle automobili e agli scooter.
In futuro le persone potrebbero voler evitare di prendere autobus e treni, ammesso che sia possibile farlo considerando i probabili tagli ai bilanci comunali. Già adesso ci sono segnali in questo senso. Le corse sugli scooter di Bird sono in media il 50 per cento più lunghe rispetto a prima della pandemia. Uber, intanto, mira a inglobare i suoi concorrenti. Nonostante abbia rinunciato al settore delle biciclette elettroniche, infatti, l’azienda ha investito in Lime, il principale rivale di Bird nel campo degli scooter elettrici.
Uber vuole anche acquisire Grubhub per rafforzare la sua presenza nel settore della consegna a domicilio di cibo, che come facile immaginare hanno avuto una crescita del 89% rispetto allo scorso anno. “In tempi difficili è logico dedicarsi al consolidamento. Oggi Uber vuole concentrarsi sul ruolo di una azienda che muove persone e cose nelle città ”ha spiegato, ai primi di Maggio, durante una conference call con gli azionisti, l’amministratore delegato di Uber, Dara Khosrowshahi, che ha svolto in maniera eccellente questo compito nel suo precedente incarico di capo di Expedia, un sito di viaggi online che ha fagocitato i suoi rivali. Insomma molto probabilmente la sharing economy non verrà spazzata via dalle conseguenze del coronavirus, ma si adatterà alle nuove esigenze che il virus ha imposto alla vita di tutti noi.
Le aziende più forti diventeranno probabilmente sempre più forti e grandi, inglobando concorrenti più piccoli, per essere poi pronte a ripartire di slancio quando l’emergenza si sarà conclusa. Perché come dice Jeremy Rifkin, il visionario economista americano “ La sharing economy è come una sorta di terza rivoluzione industriale, dove uomini e donne producono e consumano tra di loro a un costo marginale vicino allo zero, dove non conta il prodotto interno lordo, ma dove aumenta il benessere economico, la qualità della vita, la democratizzazione del sistema economico in generale.”