Cottarelli: "Governo di spesa? Mai. Senza riforme arriva la Troika"
L'intervista di Affaritaliani.it a Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review
"E' sbagliato pensare che l’Italia fuori dall’Euro sarebbe libera di fare quello che vuole e soprattutto che questo metterebbe il turbo nella crescita". Parlava così un mese fa Carlo Cottarelli, ora premier in pectore. Ad Affaritaliani.it spiegava la sua ricetta per l'Italia, riabilitando Monti e criticando senza mezzi termini chi pensa di stimolare la crescita facendo nuovo deficit.
Ecco l'intervista a Buddy Fox, che a posteriori è quasi un programma di governo
Se fosse nato in Francia lo definirebbero un “grand commis”, ovvero un “funzionario dello Stato o del parastato di alto livello e di grande potere”. Stiamo parlando di Carlo Cottarelli (Cremona, 1954) l’economista italiano che dirige l’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il suo nome è diventato popolare quando nell’ormai lontanissimo novembre del 2013 il governo Letta lo nomina “Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica”. Giusto un attimo e la stampa confeziona per lui il soprannome “Mister Forbici” di cui non si libererà più. L’attività di Commissario ha tuttavia breve vita.
Già nell’ottobre dell’anno successivo lascia l’incarico poiché il governo Renzi lo designa al Fondo Monetario Internazionale dal quale proviene e dove ha lavorato per più di vent’anni. In un'intervista rilasciata dopo le sue dimissioni, Cottarelli ricorda le difficoltà incontrate con l’universo burocratico, un mondo parallelo chiuso e impermeabile ad ogni tentativo di modernizzazione.
In questa intervista mi è venuta spontanea l’associazione tra la sua figura - determinata, severa e austera - e quella di un grande personaggio della cinematografia contemporanea, il geniale e poliedrico Clint Eastwood, l’attore e regista di indimenticabili racconti visivi il cui tema centrale è il conflitto tra il bene e il male.
Storie nelle quali la legge morale del protagonista si trova a fare i conti con quella formale, di norma interpretata in chiave farisaica e burocratica. Ovvero l’uomo del fare ostacolato da lacci e lacciuoli e, ancor peggio, dalle ipocrisie castali che tutto accettano tranne il cambiamento.
Partiamo con il capolavoro di Sergio Leone? “Il buono, il brutto e il cattivo”, stia tranquillo, non voglio chiederle a chi corrispondono nella politica italiana, bensì cosa c’è di buono, di brutto e di cattivo nella nostra economia?
“Il Buono è sicuramente nel privato, nell’imprenditoria abbiamo delle eccellenze e grandi capacità, il problema se mai è convincere questi imprenditori a investire in Italia anziché all’estero. Abbiamo ottimi imprenditori e grandi lavoratori, purtroppo difettiamo un po’ nel capitale sociale. Il Brutto sono le inefficienze del settore pubblico, in particolare la pubblica amministrazione, dove però bisogna fare dei distinguo tra il Nord (dove c’è maggiore produttività) e il Sud (dove c’è maggiore spreco), che poi gravano maggiormente sul nostro debito. Il Cattivo, ne parlo in particolare nel mio ultimo libro “I sette peccati capitali dell’economia italiana”, è la debolezza in termini di capitale sociale, siamo individualisti, egoisti, pensiamo che le regole, anche se sono effettivamente troppe, siano fatte per essere violate e per evaderle, uso a ragione il termine evadere perché uno dei problemi della nostra economia e della nostra società è proprio l’evasione fiscale. Se avessimo più capitale sociale, come invece hanno molti altri paesi, staremmo sicuramente meglio”.
Questo “capitale sociale” lo ripete spesso, cosa intende dire con questo termine?
“Il capitale sociale è il buon vivere in comune, come rispettare la fila invece di superare chi sta davanti a noi. Rispettare le regole nell’interesse comune senza evadere”.
Parla di regole. Qualche anno fa c’è stato chi ha tentato di farle rispettare, penso a Monti, “Il texano dagli occhi di ghiaccio” (se fossimo nel far west sarebbe il Professore con una grossa taglia addosso), nominato nel mezzo di una grave crisi, ha tentato di mettere ordine, ma arrivato con grandi favori, appena ha tentato di far rispettare le regole subito ha avuto tutti contro...
"(Sorride, ndr) Fare le cose in situazioni di emergenza è sempre complicato, e soprattutto è difficile non commettere errori. Bisogna però rivedere la narrativa del dopo Monti, quando molti hanno accusato il professore della caduta del nostro Pil dovuta principalmente alle sue politiche di austerità, questo non è vero. Monti è stato chiamato perchè l’Italia era già in crisi, e non mi riferisco allo Spread a 500 punti base, ma ad una caduta del Pil che era già del 4% annualizzato nel quarto trimestre del 2011. Eravamo già in piena crisi prima di Monti. Ovviamente stringere la spesa in momenti in cui imprese e famiglie sono in difficoltà è sempre doloroso, più facile sarebbe farlo oggi. Parte della responsabilità va anche all’Europa, che ha mal gestito sia la crisi greca sia quella italiana, mostrando gravi lacune”.
Dunque pecchiamo di lungimiranza perché non riusciamo mai a fare un progetto per il lungo termine, pecchiamo in memoria perché non ricordiamo mai gli errori del passato e nelle situazioni di crisi, la colpa è sempre del terremoto e mai di chi ha costruito, male, in zone sismiche?
“Esatto, è umanamente giusto inevitabile soccorrere chi ha subito il terremoto, poi però non si dovrebbe ricostruire nelle zone pericolose o ricostruire case che non sono solide. Ci vorrebbe maggiore lungimiranza, qualità che manca in situazioni viziose come queste dove i tassi bassi ti fanno fare la cicala. Come cittadino ho aperto questo osservatorio sui conti pubblici per focalizzare l’attenzione su problemi di medio termine, problemi che ora non si vedono o non vogliamo vedere e che poi, quando l’economia si indebolisce, ritornano evidenti a tutti”.
Torniamo al 2011, al debito che Lei indica come il problema, un costo per lo stato dato dagli interessi, al fatto che siamo il grande bersaglio per gli attacchi speculativi. Io ricordo anche un’occasione, i Btp al 6%, tanto che un imprenditore comprò una pagina sui giornali per invitare a comprare il nostro debito, avremmo potuto fare come i giapponesi, avremmo aiutato il nostro paese e noi stessi incassando un alto rendimento, perché non l’abbiamo fatto?
“Perché gli stessi italiani non si fidavano dello Stato che rischiava la bancarotta. Non erano solo gli stranieri a vendere, ma anche le famiglie italiane”.
Quindi gli italiani non credono nelle qualità dell’Italia?
“E’ normale avere dei dubbi e chiedersi se con uno spread a 500 lo Stato sarà solvente. Un tasso di interesse alto è anche un tasso che non sarà sostenibile, è legittimo chiedersi si io prenderò il 6% ora, ma lo Stato poi mi rimborserà?”
Però all’Argentina, con tassi di interesse al 10%, ancora più rischioso, i soldi li abbiamo prestati...
“E’ vero, infatti chi l’ha fatto è stato punito e forse proprio per questo, dopo la precedente scottatura ha preferito non ripetere l’esperienza”.
C’è però un Italiano che ha creduto nell’Italia, insinuando che come in “dove osano le aquile” sia riuscito a liberare l’Europa dal dominio tedesco, con azioni coraggiose santificate dal “whatever it takes”. Questo personaggio è Mario Draghi, Lei cosa pensa del suo operato?
“E’ stato bravo, ha gestito al meglio la situazione in linea con il mandato BCE, ora bisogna vedere chi sarà il successore”.
(Segue...)