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Economia
Decreto Dignità, quante balle. La colpa è tutta del Jobs Act

“Sono circa 53 mila le persone che, a partire dal 1° gennaio 2019, non potranno essere riavviate al lavoro attraverso le agenzie per il lavoro perché raggiungeranno i 24 mesi di limite massimo per un impiego a tempo determinato, secondo quanto previsto da una circolare del ministero (n.17 del 31 ottobre 2018) che ha retrodatato a prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del cosiddetto 'decreto Dignità' il termine da considerare per questi lavoratori assunti dalle agenzie”.

Questa è la dichiarazione di Assolavoro, l’associazione nazionale di categoria delle Agenzie del Lavoro, che danno lavoro precario ed interinale ai nostri giovani, ma perlomeno danno lavoro – si dirà.

Sono strumenti d’intermediazione con cui le imprese reperiscono risorse umane con ampia flessibilità, soprattutto senza la necessità di un rapporto contrattuale diretto, con tutti i diritti-doveri che portano i vari CCNL in capo al datore di lavoro. Il che va anche bene per cose occasionali, o per conoscere meglio le figure professionali senza invischiarsi in possibili cause future, oppure ancora per stagioni ad alta produttività, che però sono di passaggio e non strutturali, e nemmeno cicliche. (Le aziende che hanno dei picchi continui di alto e di basso, programmabili, hanno uno staff stagionale “fisso”).

Il primo ad esultare sui freddi numeri che presi senza analisi nulla significano, ed anzi si prestano ad interpretazioni farsesche, è l’ex Premier Matteo Renzi che rivendica: “Con il Jobs Act un milione di posti di lavoro in più in quattro anni.”

A parte il fatto che per la gran parte, in questo milione c’è stato un semplice lavaggio a secco delle tutele impiegatizie, o se vogliamo un riciclaggio dell’Articolo 18. Si sono convertiti, con licenziamenti e riassunzioni ad hoc, i tempi indeterminati d’antan con questi nuovi a tutele crescenti, che mal si comprende quando crescano queste tutele.

Infatti dal 07 Marzo 2015 nessuno dei nuovi assunti è immune dai licenziamenti illegittimi, sia nei finti disciplinari sia nei finti economici, v’è solo un indennizzo economico. Restano le fattispecie di nullità, molto rare, per i licenziamenti discriminatori o verbali.

In più, abbiamo buttato al macero milioni di euro per decontribuzioni che nulla hanno portato alla fine della loro esistenza in forma di sussidio. Un doping salato, per truccare i numeri e gli effetti di riforme che hanno reso la classe lavoratrice un gigante coi i piedi d’argilla.

Tornando sul punto di Assolavoro, stanno denunciando la contrazione del termine per i rapporti a tempo determinato, da 36 mesi a 24, come previsto dal ddl dignità, oltre ad avere diminuito il numero dei rinnovi possibili (da 5 a 4,) ed aver reintrodotto l’obbligo delle causali dopo 12 mesi o dal secondo rinnovo.

Non è vero che si perderanno 53mila posti di lavoro, semplicemente chi faceva il furbo col Jobs Act ogni tre anni, continua a farlo ma stavolta ogni due, variegando il personale pur di non assumere a tempo indeterminato. Il ddl Dignità ha posto una stretta, ha reso più costoso e più rognoso essere cialtroni. Il punto è che il fenomeno è lungi dall’essere superato. Bisognava osare di più, una riga per abrogare tout court il Jobs Act di Renzi. Oppure, un nuovo codice del lavoro (promesso da Di Maio per il 2019) con magari un bell’Articolo 18 nuovo di zecca.

 

Di Andrea Lorusso
Twitter @andrewlorusso

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