Deficit, caro Di Maio i conti non tornano. Grana Istat per M5S e Lega
Per tranquillizzare l'Ue ed evitare l’aumento dell’Iva nel 2019 serve un rilancio della crescita senza maggior debito. M5S e Lega possono dire addio a...
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Il “contratto di governo alla tedesca” proposto dal candidato premier grillino, Luigi Di Maio, strizza l’occhio alla Lega di Matteo Salvini ed è la conferma del tentativo di far evolvere il M5S dai “vaffa day” ad una percezione di affidabilità indispensabile per qualsiasi forza politica voglia assumersi l’onore e l’onere di provare a governare l’Italia.
Ma i “punti programmatici” per ora sono lontani dall’essere una concreta proposta politica, mentre sia la flat tax tanto cara a Salvini sia il reddito di cittadinanza cavallo di battaglia di Di Maio restano sostanzialmente delle chimere lontane da una realtà su cui pesa il macigno di un debito pubblico che nonostante i tassi bassi garantiti dal quantitative easing della Bce fatica a scendere, complice l’eredità della crisi bancaria, nonostante gli ottimistici proclami in tal senso anche del premier uscente Paolo Gentiloni.
Una volta inclusa nelle stime iniziali dei primi di marzo la contabilizzazione degli effetti legati alla liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza Spa e di Veneto Banca Spa da un lato (11,2 miliardi di maggior debito pubblico, garanzie incluse, ovvero 4,756 miliardi di maggior deficit pubblico) e alla ricapitalizzazione e ristoro dei “junior bondholder” di Mps (il cui impatto è stato rivisto da 1,1 a 1,6 miliardi circa), il deficit/Pil è salito al 2,3% (a fronte dell’1,9% stimato in precedenza, mentre il debito sale a 2.263 miliardi, “ossia il 131,8% del Pil (contro il 131,5% stimato in precedenza)”, rispetto al 132% di fine 2016.
Ulteriore limite al varo di misure come la flat tax e il reddito di cittadinanza è dato dal sia pur contenuto incremento del reddito e del potere d’acquisto delle famiglie italiane (+0,6% e +0,2% nel quarto trimestre 2017, ovvero +2,3% e +1,3% in termini tendenziali).
Con un’economia in ripresa, la Ue potrebbe infatti chiedere già a maggio, quando emetterà il suo giudizio nei confronti dell’Italia o al più tardi quando si formerà un nuovo governo (sul Paese incombe già il rischio di una manovra correttiva da 3-5 miliardi per colmare lo scarto nella riduzione del deficit strutturale richiesta dalle regole europee), di recuperare almeno i 4,7 miliardi di maggior deficit, cui si sommeranno gli ulteriori obiettivi di riduzione di deficit e debito per proseguire sulla strada del graduale risanamento previsto dalle norme comunitarie sottoscritte anche dall’Italia. Nonché i 12,4 miliardi di euro necessari per evitare che l’anno prossimo scattino le “clausole di salvaguardia”, compreso l’incremento dell’Iva.
Il problema a monte di qualsivoglia “contratto di governo” sta dunque nella ricerca di adeguate coperture. Di Maio, che ieri ha fatto a Di Martedì di aver "già trovato i 20 miliardi necessari per scongiurare l'aumento dell'Iva e per il taglio del deficit che ci chiede la Ue", ha provato a citare la spending review del 2013 di Carlo Cottarelli. Revisione “che gli altri governi non hanno voluto attuare” come “ottima base di partenza” per recuperare 50 miliardi tagliando sprechi, privilegi e spese clientelari, ribadendo di non voler però effettuare tagli alla scuola (proprio Cottarelli lo ha subito bacchettato ricordando come nel piano non fossero inseriti tagli alla pubblica istruzione).
Le cifre non concordano, inoltre, visto che la spending review di Cottarelli si proponeva di tagliare di 32-34 miliardi di euro la spesa pubblica in tre anni, quindi di una decina di miliardi l’anno già insufficienti anche solo a evitare l’aumento dell’Iva. Figuriamoci poi se si vuole introdurre il reddito di cittadinanza, rimodulare gli scaglioni Irpef o introdurre la flat tax e "superare" la Fornero (in un Def di sintesi M5S-Lega).
Visto che la spesa pubblica negli ultimi 10 anni è comunque cresciuta di quasi 145 miliardi l’anno, passando dai 707 miliardi del 2008 agli 852 miliardi previsti per quest’anno, dire che si deve ripensare la spesa pubblica è certamente corretto, il problema è come farlo.
Certo, si potrebbe fare leva sul naturale calo della pressione fiscale (che per Istat è calata al 48,8% complessivo, 0,8 punti meno che a fine 2016) per eliminare qualche “mancetta” concessa dai precedenti governi, come il bonus Irpef (gli 80 euro lordi in busta paga), che come da teoria economica non risultano aver prodotto alcun significativo impatto in termini di maggiore crescita del Pil.
Ma visto che le voci più consistenti restano la previdenza pubblica (arrivata a 93,5 miliardi l’anno, contro i 65,5 miliardi scarsi di 10 anni fa) e la sanità pubblica (a fine 2016 il conto totale è stato di 66,5 miliardi, di cui 34,9 miliardi per stipendi e 31,6 miliardi per farmaci), entrambe molto difficili da tagliare tanto più se si volesse mai rispettare l’impegno preso in campagna elettorale a “riammorbidire” la riforma Fornero tornando ad abbassare l’età pensionabile, l’unica strada percorribile (escludendo pure la spesa in deficit come ipotizzato dai programmi di M5S e Lega, il cui effetto lo stesso Cottarelli ha messo in dubbio - vedi il tweet di 20 ore fa qui sotto) resterebbe quella di agire sul Pil.
Dal profilo Twitter di Carlo Cottarelli
Anche in questo caso tuttavia alcune misure come il reddito di cittadinanza (che ieri Di Maio ha ribadito di voler approvare quest'anno, senza dire nulla però sulle risorse aggiuntive e i tempi del rafforzamento dei centri per l'impiego per erogare il sostegno) giocano contro, se non altro per l’effetto disincentivante che avrebbe pagare una parte dei cittadini attivi che ancora non lavorano.
Insomma: promettere un “programma di governo alla tedesca” può sembrare molto rassicurante, riuscire a realizzarlo senza mettere seriamente mano a una riforma economica e a una manovra correttiva dei conti pubblici è tutt’altra faccenda.