Economia
Eni piace al principe bin Salman. Pif investe un miliardo nelle major
Il fondo sovrano saudita punta su Equinor, Eni, Shell e Total
Eni piace a Mohammed bin Salman. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il Public investment fund (Pif), il fondo sovrano saudita con una potenza da fuoco da oltre 300 miliardi di dollari controllato dal principe saudita ereditario avrebbe puntato un miliardo di euro su quattro major petrolifere, fra cui anche le azioni del Cane a sei zampe. Gli altri titoli sarebbero quelli della compagnia norvegese Equinor, dell’olandese Royal Dutch Shell e della francese Total.
Secondo la ricostruzione, che cita persone a conoscenza delle operazioni, il fondo avrebbe approfittato del forte ribasso dei titoli dovuto alla pandemia di coronavirus e al tonfo dei prezzi del petrolio per le divergenze tra Arabia Saudita e Russia sui livelli di produzione puntando circa 200 milioni di dollari su Equinor, mentre i restanti 800 milioni sarebbero stati investiti nelle altre tre compagnie.
Non è escluso, riporta sempre il Wsj, che altre operazioni del genere possano essere concluse prossimamente dal fondo mentre l'attenzione del settore petrolifero è tutta per il meeting virtuale dell'Opec, a cui seguirà domani la riunione dei ministri energetici del G-20. L'operazione è avvenuta in una fase in cui a causa della caduta del prezzo del petrolio, il valore delle azioni delle società petrolifere è sceso molto, calo che negli ultimi sei mesi nel caso dell’Eni è stato di oltre il 30%. Dopo il minimo toccato il 16 marzo (chiusura sotto 6,5 euro), i titoli del colosso di San Donato ora trattano a 9,437 euro (+1,53% rispetto alla chiusura di ieri).
"Pif è tornata attiva sul mercato - spiegano al Wsj fonti ufficiali saudite - e non ci sorprenderemmo se dovessimo vedere di nuovo accordi simili". Fatto sta che si tratta di un segnale importante: il Fondo sovrano dell'Arabia Saudita, a cui Mohammed bin Salman ha affidato le leve per la diversificazione dell’economia nazionale troppo dipendente dai proventi della vendita dell’oro nero per stimolare investimenti sauditi in patria e all’estero, ha fiducia nelle società in cui intende investire e ritiene che le società europee fra cui l'Eni, passata l'emergenza da coronavirus, rialzeranno la testa.
Non solo, ma c’è una fiducia generale riguardo al fatto che il prezzo del petrolio riprenderà a salire. Quotazioni che, sebbene lo scenario petrolifero resti “uno dei più negativi da parecchi decenni, una situazione più simile alla crisi del 1998/99, quando il Brent raggiunse un minimo a 9 dollari al barile”, gli analisti di Equita Sim in una loro più recente nota sul settore stimano arrivare ad un valore medio (del Brent) per l’anno corrente di 40 dollari al barile. Prezzo destinato a risalire a 50 dollari al barile l’anno prossimo e a 55 dollari nel 2022.
Del resto da inizio marzo, da quando cioè i provvedimenti di “lockdown” presi per rallentare l’espansione della pandemia di coronavirus in un numero sempre maggiore di Stati al mondo hanno reso sempre più evidente il crollo della domanda di prodotti petroliferi, il Brent è già tornato da circa 27,75 dollari al barile ai 33,5 euro attuali (+21% circa), mentre il Wti è risalito da 24 a 26,5 dollari al barile (+10% circa) anche sulla scorta di un possibile, ma finora non materializzatosi, accordo in seno all’Opec+. Accordo sulla spinta delle pressioni in tal senso esercitate dal presidente americano Donald Trump, ma sulla cui effettiva tenuta non mancano peraltro dubbi, sulla scorta della limitata “disciplina” mostrata nel corso degli anni dai Paesi aderenti al cartello viennese.
Il fondo Pif non è nella top ten dei più grandi fondi sovrani al mondo (al primo posto il Norway Government Pension Fund con 1.186,7 miliardi e al 10° il cinese National Council for Social Security Fund con 325 miliardi), ma subito fuori con i suoi 300 miliardi ha partecipazioni in Uber, in Lucid Motors e ha inoltre stanziato 45 miliardi di dollari per il Vision Vision da 100 miliardi di dollari della giapponese SoftBank. Lunedì scorso Pif ha rivelato di aver acquisito una partecipazione dell'8,2% nell'operatore crocieristico Carnival ed è l’investitore che a dicembre dello scorso anno ha incassato 25,6 miliardi di dollari dalla mega Ipo sulla Borsa Tadawul di Saudi Aramco, la più grande compagnia petrolifera mondiale di cui bin Salman ha ceduto l’1,7%). Puntando a fare il bis (sulla carta) nel 2020.
Per l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, in odore di riconferma, è un ottimo segnale anche perché l'ingresso di Pif nel capitale di Eni arriva in un momento in cui, con le quotazioni low cost del greggio, l’emergenza coronavirus che indirizza l’economia globale verso la recessione, i Paesi troppo dipendenti dagli idrocarburi stanno fronteggiando la crisi più dura nella loro storia. Paesi, i cui fondi sovrani oggi devono fare da ombrello per contribuire a stabilizzare le entrate statali, vendendo asset. Cessioni che secondo le prime stime degli analisti, potrebbero superare quota 250 miliardi di dollari.