Economia

Fca, il ruolo di Manley e Palmer. Gli artefici delle nozze con Renault

Nelle sale operative ci si chiede chi sia stato l’architetto di una proposta che sembra essere piaciuta tanto al Cda di Renault quanto allo stato francese

di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni

Mentre il titolo Fca a Wall Street ingrana la marcia, gli analisti italiani iniziano a incensare la proposta fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e il gruppo Renault, tanto più se come sembra possibile si estendesse anche a Nissan (una volta risolto l’annoso problema del 57% del produttore giapponese che Renault ancora non controlla) e Mitsubishi (in cui Nissan ha una partecipazione del 34%), ipotesi che farebbe salire i volumi di vendite, in base ai dati 2018, ad oltre 15 milioni di vetture.

In questo modo infatti per Fca il problema di volumi che non sono minimamente saliti ai ritmi previsti dai piani industriali di Sergio Marchionne (che prevedevano entro il 2018 la vendita di 7,5 milioni di vetture da parte di Fca, in realtà fermatasi a 4,8 milioni) sarebbe risolto, anche se non è detto che le produzioni resterebbero dove e come sono ora, vista anche la necessità di investire sull’auto elettrica o su quella a guida autonoma.

Ma oltre agli aspetti di organizzazione e ottimizzazione degli impianti, che tengono alta l’attenzione di sindacati e governo, nelle sale operative ci si chiede chi sia stato l’architetto di una proposta che sembra essere piaciuta tanto al Cda di Renault quanto allo stato francese, azionista al 15% ma col 28,6% dei diritti di voto. 

Escluso che possa essere stata gestita autonomamente da John Elkann, presidente di Fca e rappresentante degli eredi Agnelli che col business dell’auto ha sempre avuto poca dimestichezza a livello operativo, è certo che il dossier sia passato per la scrivania di Mike Manley, già responsabile del marchio Jeep poi promosso amministratore delegato del gruppo italo-americano alla morte di Marchionne. Manley ha una buona esperienza internazionale, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più commerciali, ma per la guida del gruppo si avvale di quattro strutture articolate per ambiti geografici, per marchi, per processi industriali e per funzioni corporate e di supporto.

Proprio in quest’ultima struttura siede il Cfo e Business Development del gruppo, Richard Palmer, che secondo le indiscrezioni, avrebbe condotto buona parte dei contatti informali con Renault in vista della preparazione di una proposta da sottoporre al Cda del produttore transalpino. Palmer, indicato a suo tempo tra i “papabili” per la successione a Marchionne, avrebbe così guadagnato sul campo, di mese in mese, i galloni di “Ceo aggiunto”. 

Questo se da una parte potrebbe favorirne l’indicazione come possibile rappresentante di Fca ai vertici del nuovo gruppo, rischia di indebolire la posizione di Manley, che non sembra aver convinto appieno (o forse appare semplicemente troppo schiacciato dal peso di un’eredità pesante e difficile da gestire come quella di Marchionne). 

Così in vista di una governance che almeno inizialmente dovrà essere il più possibile “alla pari”, Fca potrebbe esprimere il presidente del nuovo gruppo nella persone di John Elkann, mentre per il ruolo di group Ceo Manley potrebbe essere scavalcato da Jean Dominique Senard (presidente di Renault) o Thierry Bolloré (da poco nominato Ceo del produttore francese). Non sarebbe un dettaglio di poco conto, perché negli affari chi comanda tiene in mano la gestione di un’azienda e viceversa. 

Così esprimere un ruolo “di rappresentanza” come la presidenza (per quanto potrebbe essere una presidenza operativa) e cederne uno chiaramente operativo ribalterebbe la visione attuale secondo cui nella “fusione tra pari” è Fca a comprare Renault e non viceversa. Un ribaltamento che forse riflette il fatto che mentre Fca è più forte sui volumi e sui ricavi (110 miliardi attesi a fine anno contro i 57 miliardi stimati per i francesi), Renault è più avanti per quanto riguarda gli investimenti sulle tecnologie dell’auto elettrica e a guida autonoma.

In questo caso Elkann, con l’aiuto determinante di Manley e Palmer, sarebbe riuscito a costruire l’operazione.  Un'operazione portata avanti in grande segretezza i cui colloqui hanno portato poi Fca a svelare le sue carte lunedi' mattina, dopo le indiscrezioni trapelate nel fine settimana.

Secondo quanto rivela il Financial Times , in Fca erano addirittura stati creati dei nomi in codice per indicare il team incaricato Fermi di lavorare al progetto Newton per realizzare un deal con Ruthenford. Sono tutti famosi fisici, nota il quotidiano, e la fisica - va aggiunto - era una grande passione di Sergio Marchionne, l'ex amministratore delegato di Fca.