Economia
Ferrarini/Business,debito,redditività: che cosa non convince della cordata Gsi
Il concordato del gruppo Ferrarini
L’operazione di acquisizione di un gruppo in crescita, con volumi importanti ma margini modesti, che vuole rilevare un concorrente in affanno, con un fatturato più contenuto ma margini più rotondi. Sulla carta, l’uovo di Colombo, ma il diavolo, si sa, spesso si nasconde nei dettagli e nella “guerra dei prosciutti” la proposta della cordata formata da Gsi (Grandi salumifici italiani)-Bonterre e Casillo Partecipazioni, per rilevare il gruppo Ferrarini ad un esame meno che superficiale genera dubbi sulla validità della proposta.
Innanzitutto, come in ogni progetto di fusione e acquisizione, c’è una componente strutturale di “soft skill” di cui tenere conto: Ferrarini produce prosciutti e salumi esclusivamente a marchio proprio da cui fattura 130 milioni, puntando sulla qualità. Gsi (controllata dalla holding Bonterre a cui fa capo anche Parmareggio) produce poco col proprio marchio, Casa Modena, e molto per conto terzi, ossia per le “private label” della grande distribuzione organizzata.
Sono gli stessi amministratori di Gsi nella loro redazione relativa al bilancio 2019 a pagina 22 della relazione di gestione, metterlo nero su bianco: su 671 milioni di euro di giro d’affari, in crescita lo scorso anno del 4,7% sul 2018, oltre un terzo (241 milioni, in crescita di quasi il 36% rispetto all’anno prima) sono riferiti ad “affettati e cubetti”. Contando anche “teneroni”, “giravolte”, wurstel e precotti, si arriva a quasi 318 milioni di euro (+47,3% sul 2018) di prodotti per il “libero servizio”, ossia sostanzialmente per le private label di cui sopra.
Chi sono gli appaltanti? Conad e Coop, big della Gdo che praticando pressioni ribassiste chiedono il prodotto finito con contratti di fornitura che possono essere da un momento all’altro rinegoziati con l’intento di strappare condizioni migliori. I “cotti”, che costituiscono il prodotto tipico di Ferrarini, per Gsi pesano 137 milioni scarsi (di cui meno di 100 milioni riferiti a prosciutti cotti, spalle e arrosti).
Se dal punto di vista del banchiere d’affari i due business possono sembrare complementari, solo perché rivolti al medesimo mercato, dal punto di vista dell’integrazione della cultura aziendale questo potrebbe essere un ostacolo di non poco conto. Si dirà: con la cultura non si mangia, l’importante è la solidità del business. Vero, ma anche in questo caso qualche dubbio è lecito sul futuro delle due realtà aziendali e sulla solidità del “cavaliere bianco”.
Gsi ha chiuso il bilancio 2019 con un Ebitda (Mol ante ricavi e costi non ricorrenti) in calo dal 6,1% al 5,7%, ossia in valore assoluto pari a 38,3 milioni (da 39,3 milioni), solo grazie al cambio dei principi contabili applicati, cioè all’adozione dell’Ifrs 16 che consente di iscrivere i canoni di affitto e noleggio (4,8 milioni di euro) come ammortamenti; tanto che l’Ebit (risultato operativo) di Gsi è letteralmente crollato da 16,85 a 4,15 milioni di euro. In pratica, la relativa “tenuta” dell’Ebitda e il crollo dell’Ebit dipendono da un diverso modo di iscrivere tali costi.
La crescita del fatturato, legata fortemente alla Gdo, ha dunque finito col “mangiarsi” redditività, anziché generarne. E le rimanenze di magazzino sono curiosamente molto rilevanti per il tipo di attività svolta e stabili a 124 milioni, cosa che potrebbe indicare una politica di bilancio volta a mantenere quanto più stabile questo valore a garanzia di ulteriori finanziamenti.
A dare la mazzata finale ai conti di Gsi sono gli oneri finanziari, schizzati da 7,28 a 10,25 milioni di euro in un debito verso banche in crescita: un incremento, spiegano gli amministratori nella loro relazione, dovuto “a condizioni finanziarie più onerose sul finanziamento con un pool di istituti di credito, di taglio particolarmente elevato (euro 170 milioni), sottoscritto a dicembre 2018” della durata di appena 5 anni.
Il finanziamento venne concesso nell’ambito di una ristrutturazione debitoria (in parte si trattava di nuova finanza, in parte del rinnovo di finanziamenti pregressi) da un pool bancario, si legge nella nota di iscrizione al mutuo, composto da Credit Agricole Italia, Banco Bpm, Bper Banca, Cassa depositi e prestiti, Unipol, Mps, Cassa di Risparmio di Bolzano, Cassa di Risparmio di Cento, Creval, Emilbanca e Unicredit.
Unicredit e Cdp sono anche, insieme ad Amco (la ex Sga) e Intesa Sanpaolo, due dei quattro principali creditori bancari di Ferrarini con 200 milioni sui 350 milioni di indebitamento totale del gruppo e che hanno proposto il “cavaliere bianco” Gsi. Banca Intesa e Cdp non ne fanno parte.
Ma questo non è il solo indebitamento di Gsi, perché, oltre al mutuo, ha perfezionato un’operazione di cartolarizzazione dei crediti commerciali, sempre onerosa, della quale non è dato sapere l’importo, sicuramente rilevante se si pensa che i crediti commerciali non ceduti sono di appena 58 milioni e sono costituite in pegno liquidità rilevanti.
Se il conto economico di Gsi induce a qualche preoccupazione, anche lo stato patrimoniale non è così immacolato. L’avviamento pesa 118 milioni di euro ed è invariato da un anno con l’altro, ossia non viene ammortizzato come invece è buona consuetudine fare; l’azienda nel complesso, considerando le rimanenze, 500 milioni di euro: ciò a fronte di risultati economici pressochè azzerati, dato che l’utile 2018 è stato di 5,6 milioni, mentre il 2019 ha registrato una perdita di 6 milioni di euro. E’ abbastanza normale che, in questa situazione, le assicurazioni sul credito abbiano rivisto, riducendoli, gli affidamenti.
Le anomalie sono ancor più evidenti se questi dati sono confrontati con quelli delle altre imprese del settore; ciò porta a rilevare una fragilità strutturale oggettiva, in quanto a fronte di un indebitamento finanziario di oltre 300 milioni la redditività è pressochè nulla; necessita di una profonda ristrutturazione nella propria attività d’impresa, difficilmente ottenibile sommandosi al business model molto differente (e meno redditizio) di Ferrarini. Chissà dunque che la vicenda non possa presentare ulteriori sviluppi a sorpresa in futuro. Certo non se lo augurano i lavoratori del gruppo Ferrarini.