Economia
Ferrarini, Sga in pressing sui crediti ex Venete. La famiglia vende ai Pesenti
Il gruppo alimentare emiliano potrebbe a breve passare di mano alla galassia Italmobiliare e al fondo QuattroR
Di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Pesenti sta per mettere le mani sul prosciutto Ferrarini (e i salumi Vismara). Potrebbe a breve cambiare padrone il gruppo di Reggio Emilia, impresa tipica del capitalismo familiare italiano con la seconda generazione alla guida (dopo il capostipite Lauro, le redini sono state prese dai figli Luca, Licio, Licia, Lisa e Lia), azienda che è tra le più importanti imprese europee attive nel settore alimentare, in particolare nella produzione di prosciutto e salumi (è proprietario, tra l’altro, del marchio lombardo Vismara) oltre che di Parmigiano Reggiano e aceto balsanico.
Il made in Italy di qualità insomma. Finora l’azienda è rimasta saldamente sotto il controllo della famiglia omonima, tramite le holding lussemburghesi Elle Effe Sa, e Agri-Foods Investments Sa, ma da qualche tempo il gruppo Italmobiliare, che fa capo alla famiglia Pesenti e che dopo l’uscita da Italcementi si ritrova con 700 milioni da investire in gruppi italiani in grado di ambire ad una leadership di mercato almeno a livello europeo, ha messo gli occhi sul gruppo emiliano.
Ferrarini è leader assoluto del mercato italiano del prosciutto cotto e dà lavoro a oltre 1.000 persone (700 in Italia e 300 all’estero) e vanta una forte presenza sia sul mercato nazionale (con 300 mila punti vendita) sia oltre confine, grazie a 10 mila negozi, 6.000 ristoranti e 10 sedi commerciali che consentono di presidiare Spagna, Svizzera, Inghilterra, Giappone, Hong Kong e Sudest asiatico.
Dopo aver chiuso il 2016 con circa 253 milioni di euro di ricavi e un Ebitda di poco meno di 23 milioni a fronte di un debito finanziario netto di 142,8 milioni, avendo tra l’altro quotato all’ExtraMot due minibond, Ferrarini ha visto i ricavi volare nel 2017 a 335 milioni e l’Ebitda salire a 29,5 milioni.
Insomma, il business non ha particolari problemi, anzi, tanto che Lisa Ferrarini, consigliere delegato del gruppo (e vicepresidente di Confindustria per l’Europa sia nella presidenza Squinzi sia in quella Boccia - è in carica dunque), ha potuto spingere sulla leva dell’innovazione investendo ogni anno il 5% del fatturato.
Per sostenere la crescita, però, il gruppo emiliano ha fatto ricorso al debito che è salito a 250 milioni circa, di cui 112 milioni circa facenti capo alla società operativa. Di questi, una trentina si riferiscono a prestiti concessi da Unicredit, altrettanti da Veneto Banca (le cui passività sono poi state girate a Sga), una ventina a Intesa Sanpaolo, una decina a Banco Bpm ed importi minori verso Carisbo, Credit Agricole Cariparma e Banca del Mezzogiorno.
Da notare anche che dei 138 milioni circa di debito che gravano su altre società del gruppo, un centinaio sarebbe stato concesso sempre da Veneto Banca e poi finito in pancia a Sga, che è dunque il principale creditore del gruppo. Finanziamenti che sarebbero almeno in parte riconducibili a operazioni “baciate” (ossia concessi in cambio di sottoscrizione di titoli dell’istituto emittente) della stessa Veneto Banca, di cui il gruppo emiliano, nel 2016 ammesso anche al progetto Elite di Borsa Italiana (che sarebbe potuto sfociare in una futura quotazione), era uno dei cento più importanti debitori.
E proprio da Sga, soggetto in pressing impegnato nel recupero dei crediti deteriorati e delle passività girategli da BpVi e Veneto Banca, e dagli altri creditori dovranno passare Italmobiliare e il fondo QuattroR, nato con l’intenzione di entrare nel capitale di gruppi italiani di medie dimensioni, con marchi forti e riconoscibili ma colpiti da squilibri finanziari o patrimoniali (come nel caso di Fagioli, di cui QuattroR ha rilavato il 48% lo scorso dicembre, con opzioni per salire al 90%) per poter ottenere il via libera al loro possibile ingresso nel gruppo emiliano con una quota di maggioranza (si parla del 90% complessivo), previa conclusione positiva della due diligence che dovrebbe partire a breve.
La quota verrebbe infatti suddivisa su base paritetica tra Italmobiliare e QuattroR e deriverà, una volta definiti gli accordi con Sga e gli altri creditori finanziari coinvolti, in parte dall’acquisto di quote dei Ferrarini, in parte dalla sottoscrizione di un aumento di capitale destinato a ridurre l’esposizione debitoria, per un investimento complessivo di circa 100 milioni. Investimento che giunge dopo che altri gruppi alimentari italiani sono passati di mano, come Parmacotto (la cui maggioranza è stata rilevata da Giovanni Zaccante, già cofondatore di Saeco e Caffeitaly), Caffè Borbone (il 60% è stato rilevato proprio da Italmobiliare poche settimane fa) e Forno d’Asolo (il controllo è stato girato da 21 Investimenti a BC Partners giusto ieri).
E’ la conferma che situazioni di tensione finanziaria - innescate in questo caso dal crack delle banche venete - che coinvolgono aziende sane e con prospettive di crescita possono generare certamente preoccupazioni nei lavoratori e nelle istituzioni locali (oltre che nei creditori coinvolti), ma continuano a fare gola a molti investitori di private equity. Soggetti con cash pronto cassa desiderosi di subentrare a proprietà in affanno soprattutto nei tradizionali punti di forza del “made in Italy”, come il food. Senza la valanga del credito che ha coinvolto PopVicenza e Veneto Banca, la storia della famiglia Ferrarini sarebbe stata probabilmente diversa.