Economia

Ferrovie, fare cassa senza perdere il controllo: la lezione di Tokyo

di Marco Scotti

Tokyo Metro debutta col botto in Borsa: dal Giappone l'ultima grande operazione di privatizzazione che dovrebbe far riflettere anche l'Italia

Ferrovie, dal Giappone alla Germania: quando privatizzare non è una resa ma un'opportunità

Il 40% in più nel primo giorno di quotazione: non è un titolo tech o una startup, ma una metropolitana, quella di Tokyo, che incarna l’ultima grande operazione di privatizzazione in un settore strategico. La Tokyo Metro ha appena dimostrato al mondo che il trasporto pubblico, se ben gestito, può diventare un asset finanziario cruciale. Eppure, in Italia, ogni volta che si parla di privatizzare anche solo una piccola quota di aziende pubbliche, parte un coro di critiche. Ma se vogliamo essere realistici, è ora che anche Ferrovie dello Stato Italiane (FS) affronti il tema della cessione di una parte delle sue quote, come fatto da Eni, Enel, Leonardo e Poste solo per citare gli esempi più macroscopici. Un passo calcolato, che permetterebbe allo Stato di fare cassa, mantenendo però il controllo strategico su una delle infrastrutture più importanti del Paese.

Prima di addentrarci nel discorso delle privatizzazioni, bisogna però chiarire un concetto fondamentale: la Rab, acronimo per Regulatory Asset Base. La Rab rappresenta il valore regolato di un’infrastruttura, ovvero il capitale investito su cui i gestori possono ottenere un rendimento regolamentato. Questo modello si è dimostrato efficace in vari settori infrastrutturali, garantendo un flusso di entrate stabile e prevedibile. Applicata al mondo delle ferrovie, la Rab offre agli investitori una garanzia: il ritorno economico è certo, anche se l’infrastruttura rimane nelle mani dello Stato. Ecco perché privatizzare una quota di Ferrovie non solo è sensato, ma auspicabile.

Il quadro internazionale: privatizzazioni ferroviarie di successo

Non siamo certo i primi a pensare a una privatizzazione parziale nel settore ferroviario. Guardiamo cosa è successo altrove. Il Regno Unito è forse l’esempio più noto. Negli anni ‘90, sotto il governo di Margaret Thatcher, l’intero sistema ferroviario britannico venne privatizzato. A partire dal 1993, con l’approvazione del Railways Act, le operazioni e la gestione della rete vennero cedute a diverse aziende private. Il risultato? Un aumento significativo degli investimenti, un’espansione del servizio e un miglioramento generale delle infrastrutture, anche se non senza qualche criticità iniziale. Ma i numeri parlano chiaro: dal 1997 al 2019, il numero di passeggeri annui nel Regno Unito è cresciuto da circa 800 milioni a oltre 1,7 miliardi.

La Germania, attraverso Deutsche Bahn, ha optato per un modello misto. Nel 1994, la compagnia ferroviaria statale è stata ristrutturata e, successivamente, è stata aperta al mercato, mantenendo però il controllo pubblico. Nonostante le polemiche iniziali, oggi Deutsche Bahn è una delle aziende ferroviarie più performanti d’Europa, capace di competere sia sul piano nazionale che internazionale.

Anche il Giappone, patria della metropolitana Tokyo Metro, ha privatizzato le sue ferrovie nazionali nel 1987. Japan Railways (JR), divisa in sei società regionali, ha visto un incremento degli utili, con JR East, l’operatore più grande, che ha registrato nel 2022 ricavi operativi superiori a 1.2 trilioni di yen. La privatizzazione ha favorito l’efficienza, l’innovazione e la qualità del servizio, pur mantenendo una forte regolamentazione da parte del governo.

Perché farlo in Italia?

Perché dunque non seguire questi esempi? Le Ferrovie dello Stato Italiane sono un asset strategico che, se gestito con visione, può diventare una fonte di ricchezza. Attualmente, FS gestisce oltre 16.700 chilometri di rete ferroviaria e muove circa 600 milioni di passeggeri all’anno. Parliamo di numeri imponenti che, con l’apertura al mercato, potrebbero attrarre capitali freschi, essenziali in un momento in cui lo Stato ha un disperato bisogno di risorse per finanziare investimenti in altre aree chiave, come la transizione energetica e le infrastrutture digitali.

Tuttavia, la privatizzazione di FS non significa cedere il controllo. Si può, infatti, decidere di mettere in vendita solo una quota limitata, mantenendo la maggioranza nelle mani dello Stato, come accaduto in Germania o in Giappone. In questo modo, il governo italiano continuerebbe a determinare le linee guida strategiche, tutelando gli interessi nazionali e garantendo che le infrastrutture restino pubbliche, ma avvalendosi al contempo delle risorse private per modernizzare e potenziare il sistema ferroviario.

La Rab, di cui parlavamo prima, è la chiave per attirare investitori istituzionali. Sapere che c’è una base regolata di asset su cui ottenere un ritorno fisso rende il settore ferroviario appetibile anche in un contesto di mercato volatile. In un momento storico in cui i tassi di interesse sono in rialzo, un investimento sicuro e stabile come quello offerto da una quota di FS potrebbe fare gola a molti.

L’opportunità da non perdere

La privatizzazione parziale di FS non solo permetterebbe allo Stato di fare cassa senza sacrificare il controllo, ma sarebbe anche un modo per rilanciare un settore chiave dell’economia italiana. Gli esempi internazionali ci dicono che una gestione mista, pubblico-privato, può funzionare e portare benefici concreti sia al servizio offerto che alle casse dello Stato.

In un contesto globale in cui la mobilità sostenibile diventa sempre più centrale, le ferrovie rappresentano un tassello fondamentale. Non cogliere questa opportunità significherebbe lasciare miliardi sul tavolo, proprio quando ne abbiamo più bisogno. Del resto, se funziona in Giappone, Germania e Regno Unito, perché non dovrebbe funzionare anche qui?

Privatizzare non è una resa, ma un’opportunità per rendere Ferrovie dello Stato ancora più competitive e moderne, senza perdere di vista l’interesse pubblico.

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