Economia

Fondazione Brodolini, da simbolo sindacale a player della comunicazione pubblica

Il caso di Fondazione Brodolini è un esempio di come un’istituzione possa adattarsi ai tempi, ma il prezzo di questa adattabilità è alto

di Redazione

Fondazione Brodolini, dalla promozione delle politiche sociali a protagonista della comunicazione pubblica. Il caso 

La Fondazione Giacomo Brodolini è un caso emblematico di come un’istituzione possa abbandonare il proprio ruolo originario per adattarsi a nuove logiche, meno ideali e decisamente più commerciali. Nata nel 1971 come emanazione del pensiero sindacale progressista, la Fondazione aveva come obiettivo la promozione delle politiche sociali e del dialogo tra lavoratori e istituzioni. Oggi, invece, si presenta come un attore di primo piano nella comunicazione istituzionale, capace di vincere appalti milionari grazie a una struttura operativa che include una SRL controllata. Ma questa trasformazione è un'evoluzione o un tradimento delle origini?

Una Fondazione dal volto ambiguo

La Fondazione Brodolini continua a presentarsi come un ente promotore di ricerca e innovazione sociale, ma dietro questa facciata si cela una realtà molto diversa. La partecipazione a gare pubbliche con importi rilevanti, spesso ottenuti attraverso una società privata, la pone in una posizione “nuova”. La SRL controllata dalla Fondazione opera con una flessibilità che le fondazioni tradizionali non possono permettersi, sfumando i confini tra no-profit e attività di mercato.

Tra le commesse più significative spicca quella del Ministero dell’Interno, un appalto da 1,6 milioni di euro per la comunicazione legata al programma europeo AMIF (Asylum, Migration and Integration Fund). A questa si aggiunge la gara vinta con la Regione Veneto, che ha assegnato alla Fondazione 588.000 euro per il programma Interreg Italia-Croazia. Non meno rilevante è l’incarico da 385.000 euro della Regione Abruzzo, dedicato alla promozione dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, e la collaborazione con l’ENPAF (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Farmacisti) per la comunicazione strategica. Tutto questo senza dimenticare il progetto del Centro Italiano per l’Innovazione nella Silicon Valley, gestito dalla Fondazione per favorire il dialogo tra innovazione italiana e americana. 

Al centro di questa metamorfosi c’è Claudia Belli, Presidente della Fondazione. Con una lunga esperienza nelle politiche sociali, Belli rappresenta una figura apparentemente in continuità con il passato dell’ente, ma il suo mandato sembra aver portato a una decisa virata verso logiche più imprenditoriali. A supportarla, Massimiliano Mascherini come Vicepresidente, e soprattutto Elisa Salvati, Direttore Generale, il vero motore operativo dietro la capacità della Fondazione di penetrare nel mercato delle gare pubbliche. Salvati, in particolare, ha saputo sfruttare il meccanismo della SRL per rendere la Fondazione competitiva come un’azienda privata.

Questa governance, per quanto formalmente ineccepibile, solleva interrogativi sulla direzione intrapresa. La Fondazione, sotto la guida di Belli, sembra aver abbandonato progressivamente la sua vocazione storica per trasformarsi in un attore ibrido, sospeso tra il pubblico e il privato, tra il sociale e il commerciale. 

Il confine sfumato tra pubblico e privato

La gestione di una SRL controllata è ciò che rende il caso della Fondazione Brodolini unico, ma anche controverso. Le fondazioni sono tradizionalmente pensate per operare senza scopo di lucro, perseguendo finalità sociali e culturali. Ma la presenza di una società privata all’interno di un’istituzione di questo tipo introduce elementi che rischiano di snaturarne l’identità. La capacità di competere sul mercato delle gare pubbliche, aggiudicandosi contratti milionari, lascia aperta una domanda fondamentale: fino a che punto questa struttura è coerente con i principi di una fondazione?

Le gare vinte dalla Brodolini non sono solo numeri: la Fondazione non è più un laboratorio di idee, ma un player nel mercato della comunicazione. Questo ibrido tra pubblico e privato, tra missione sociale e logica commerciale, non può non sollevare dubbi, soprattutto in un contesto come quello italiano, dove la gestione delle risorse pubbliche è da sempre un tema critico.

Il caso della Fondazione Brodolini è un banco di prova per il sistema delle fondazioni in Italia. Rappresenta un esempio di come un’istituzione possa adattarsi ai tempi, ma il prezzo di questa adattabilità è alto. Ciò che resta è un’entità profondamente trasformata, che naviga con abilità tra i fondi europei, le gare pubbliche e le opportunità offerte dal mercato della comunicazione. Ma il rischio è evidente: questo modello potrebbe aprire la strada a una pericolosa commistione tra finalità pubbliche e logiche private. È un cortocircuito che richiede una riflessione seria, non solo sul caso Brodolini, ma sul futuro delle fondazioni in Italia.

Alla luce di questa vicenda, una domanda rimane sospesa: è ancora possibile parlare di "fondazioni" quando queste operano come aziende? O siamo di fronte a un fenomeno di pura maquillage istituzionale, dove i valori originari vengono progressivamente svuotati, lasciando spazio solo al profitto?

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