Economia

Green Deal sotto assedio, dalla Francia alla Germania: che cosa c'è dietro le pressioni per rivedere il piano "verde"

Ma per i partiti di centro-destra, che sostengono la nuova Commissione e il cui appoggio sarebbe fondamentale, l’obiettivo non è quello di cancellare l’intero quadro normativo

di Francesco Crippa

Il Green Deal sotto assedio: le pressioni per rivedere le politiche europee aumentano

Il Green deal è sotto assedio. Alla schiera di oppositori ideologici si aggiungono, giorno dopo giorno, anche leader moderati che scendono in campo contro una regolamentazione percepita come un freno allo sviluppo economico. Da ultimo, il governo francese, che il 20 gennaio ha chiesto all’Unione europea di ritardare l’entrata in vigore di due direttive che prevedono sia l’obbligo per le aziende di segnalare il loro impatto ambientale e l'esposizione al rischio climatico, sia quello di verificare che i loro fornitori rispettino le norme ambientali e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti.

Nel primo caso, la Francia propone di rinviare a data indefinita l’inizio del nuovo regime di regole, nel secondo di due anni. Un tempo necessario “a migliorare le direttive”. Secondo Parigi, infatti, le due direttive dovrebbero applicarsi solo ad aziende con almeno cinquemila dipendenti e più di 1,5 miliardi di euro di fatturato. “Dobbiamo concentrarci sulla legislazione che complica la vita quotidiana delle nostre aziende e ne rallenta la crescita”, ha detto pochi giorni dopo il ministro dell’Economia Eric Lombardi.

La richiesta non dovrebbe cadere nel vuoto: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva comunicato già a novembre che in questa legislatura ci si sarebbe attivati per una revisione del quadro normativo varato nella scorsa. I primi passi dovrebbero avvenire a febbraio, con l’arrivo della direttiva omnibus.

A spingere in questa direzione, del resto, non è solo il governo di François Bayrou, ma mezza Europa. Durante la campagna elettorale in Germania, il leader dei Cristiano-democratici ha promesso di impegnarsi per rivedere l’impegno di Berlino in tema di transizione energetica. Pochi giorni fa, durante un convegno organizzato a Milano, anche il segretario di Forza Italia Antonio Tajani ha parlato della necessità di un “cambiamento del Green deal” poiché “non permette all’industria di crescere” e anzi rischia di bruciare posti di lavoro.

Non sono solo i leader moderati – e gli imprenditori – a chiedere un intervento a livello comunitario. Il fronte più spostato a destra, da Matteo Salvini all’ungherese Viktor Orban, passando per l’olandese Geert Wilders e il francese Jordan Bardella, è contrario, da sempre, a quello che è diventato il simbolo della scorsa legislatura europea. Ora, supportati dalla rielezione di Donald Trump da un lato e dai messaggi che arrivano dalle altre parti politiche, gli oppositori più ideologici provano a rialzare la testa e chiedere un vero e proprio smantellamento del Green deal. Ieri, proprio Bardella, presidente del Rassemblement National di Marine Le Pen e leader dei Patrioti all’Europarlamento, parlando alla stampa francese, ha detto che avrebbe chiesto al leader del Partito popolare europeo, il tedesco Manfred Weber (Cdu), di unire le forze per raggiungere questo scopo. “Invito i miei colleghi, in particolare dell'Ppe, ad avere un po' di coraggio e a pensare alla competitività della Francia, alle nostre aziende e ovviamente ai lavoratori francesi”, ha detto. L’appello, ha aggiunto Bardella, è però esteso anche a tutti i leader dei partiti riuniti nel gruppo dei conservatori, l’Ecr, e a quelli del gruppo Europa delle nazioni sovrane.

La partita, però, è tutt’altro che facile, perché per i partiti di centro-destra, che sostengono la nuova Commissione e il cui appoggio sarebbe fondamentale, l’obiettivo non è quello di cancellare l’intero quadro normativo. La stessa von der Leyen ha ribadito più volte che un passo indietro non verrà fatto e che, al massimo, si interverrà per conciliare meglio le esigenze ambientali e climatiche con quelle della competitività dell’Ue.