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Economia
"Guerra in Medio Oriente? Se il prezzo del petrolio crescerà, Pil giù di 0,5%"

De Bellis (Equita): "Se il prezzo del petrolio rimarrà su questi livelli, il Pil perderà lo 0,5%"

Luigi De BellisLuigi De Bellis, co-head dell’Ufficio Studi di Equita
 

Luigi De Bellis, co-head dell’Ufficio Studi di Equita, racconta ad Affaritaliani.it quale sia lo scenario dei mercati internazionali in un momento che si sta facendo sempre più complesso. Dopo un primo semestre vissuto in maniera tutto sommato tranquilla, l’Italia e l’Europa si sono ritrovati in una morsa rappresentata dall’aumento dei tassi, dall’incremento del prezzo del petrolio, da un indebolimento del ciclo economico. Una prova è rappresentato dall’aumento dell’indice dei Cds europei, cioè il costo della protezione.

Si è passati da meno di 400 punti base di inizio settembre fino a 458 di oggi. Per quanto concerne l’Italia, inoltre, il Pil reale nel 2024 potrebbe crescere solo dello 0,6% invece dell’1,2% che era stato considerato dal governo nello stilare la Nadef. Dunque, una situazione complessa, ma anche la convinzione che il governo Meloni non sia stato bocciato – anche se la mossa sugli extraprofitti delle banche ha indispettito gli investitori – ma semmai ha dato un segnale globale di sfiducia.

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De Bellis: lo spread è cresciuto arrivando a 206 punti base. Continuerà la sua corsa? I mercati ce l’hanno col governo?
L’aumento dello spread che stiamo osservando è principalmente attribuibile ad un generale incremento degli spread creditizi, a causa dei segnali di indebolimento del ciclo economico (con particolare riferimento all’Europa) e alle tensioni geopolitiche. L’indice dei CDS Europei (iTraxx Xover) è salito a 458bps da meno di 400bps a inizio settembre. I BTP, inoltre, fino a qualche settimana fa, avevano comunque registrato una buona performance rispetto ai bund; infatti, lo spread si era ridotto dai 244bps di ottobre 2022 fino ai 165bps di agosto. L’Italia ha mostrato un’ottima ripresa post-Covid, superiore a quella degli altri paesi europei, con un rafforzamento del sistema bancario. Tuttavia, i principali rischi che stiamo monitorando riguardano la crescita per il 2024, con uno scenario che vede ora un deficit più elevato e una crescita più debole rispetto a qualche mese fa. Tale prospettiva continua a mostrare una tendenza al ribasso a causa dei segnali di indebolimento nel ciclo macroeconomico, oltre all’aumento dell’offerta sul mercato di Titoli di Stato (che caratterizzerà anche altre economie). Inoltre, le discussioni sulla prossima manovra di bilancio saranno complesse, poiché il governo dovrà cercare di mantenere alcune promesse elettorali anche in vista delle elezioni europee del 2024 ma con margini di manovra limitati (se non nulli). Tutti questi fattori potrebbero contribuire ad un ulteriore allargamento dello spread, tuttavia, in assenza di shock esogeni, tale allargamento dovrebbe essere contenuto.

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L’Italia è un Paese solido?
Vale la pena ricordare che l’Italia gode di un ampio livello di ricchezza finanziaria privata delle famiglie, tra i più alti in Europa, e le società hanno un livello di indebitamento sotto controllo e più basso rispetto al 2008 e 2011. Questi sono comunque elementi di supporto per il nostro debito pubblico. Inoltre, oggi, le istituzioni europee dispongono di un maggior numero di strumenti per controllare lo spread dei titoli rispetto al 2011-12 e al 2018 (quando lo spread dei titoli aveva raggiunto, rispettivamente, 548 e 326 punti base). Con la Nadef, infine, il Governo non ha adottato un approccio aggressivo, ovvero non ha introdotto eccessive misure di spesa, e ha inoltre stabilizzato il costo del Superbonus che ha pesato e peserà sui conti pubblici fino al 2026. 

Però è vero che la tassa sugli extraprofitti ha fatto infuriare gli investitori?
Al mercato non piacciono modifiche regolatorie retroattive. Anche il provvedimento in materia di Npl sta scontentando il mercato. Tuttavia, ciò che infastidisce gli investitori, più che la tassa sugli extraprofitti, è il cambio di prospettiva. La norma comunque verrà rivista e al momento non si sa ancora quali saranno gli effetti. 

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I risultati del Btp Valore: vendite da record, tassi alti. Ma è un successo o, come ha detto qualcuno, si è "ecceduto"?
Quello che sta facendo il governo è trovare nuovi compratori marginali con ottica di lungo periodo. L’estero sta acquistando meno che negli anni passati. Nei prossimi mesi verrà meno uno dei principali compratori del debito pubblico degli ultimi anni, e ci sarà un aumento dell’offerta per il maggiore deficit. Ci aspettiamo che già da fine anno la BCE potrebbe annunciare la fine dei reinvestimenti del programma PePP (acquisti legati alla pandemia), dal quale l’Italia è stata uno dei principali beneficiari. I tassi più alti rappresentano un’opportunità e la critica mossa al governo di aver emesso troppi titoli di stato con una cedola che probabilmente calerà nei prossimi mesi è in realtà irrilevante: con l’ammontare del debito pubblico italiano non sono certo pochi miliardi a cambiare lo scenario. C’è una finestra, ed è giusto catturarla. Il tema semmai è più ampio.

Sarebbe?
Che si è sempre meno disposti ad acquistare debito pubblico di altri Paesi. Gli Usa hanno ora un deficit intorno all’8% del Pil, con un debito pubblico intorno al 100% della ricchezza prodotta. Ma Cina e Giappone sono sempre meno compratori di titoli di Stato americano e vendono anzi valuta estera per rafforzare la propria. Il governo ha colto un’opportunità, con un ottimi risultato finale. 

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Con la crisi in Medio Oriente ci saranno ripercussioni "solo" in materia energetica o ci aspettiamo altri effetti pesanti? Il presidente del Cnel Brunetta dice che sarà peggio dell'Ucraina…
Il tema del costo dell’energia in crescita era già palese prima dello scoppio del conflitto. Il costo del petrolio, dai minimi dell’estate, è salito del 30%, soprattutto a causa della decisione dell’Arabia Saudita di tagliare la produzione. I mercati hanno recentemente risentito dell’incremento dei rendimenti obbligazionari e dei segnali di rallentamento della crescita economica, e ora il conflitto in Medio Oriente aggiunge ulteriori preoccupazioni (anche per l’aumento del prezzo del petrolio che può impattare i consumi). Sebbene un aumento dei prezzi del petrolio può causare un aumento dell`inflazione nel breve, crediamo che tale aumento sia principalmente legato a questioni di fornitura, il che potrebbe portare a una diminuzione della domanda, con possibili effetti deflazionistici in un secondo momento. 

Ma avete già stimato il costo della guerra in Medio Oriente?
No, troppo presto. Quello che però sappiamo è che se il prezzo del petrolio dovesse rimanere su questi livelli, anche a causa della guerra in Medio oriente, si perderebbe per strada mezzo punto di crescita del Pil a livello globale. 

Che crescita stimate per il 2024?
Abbiamo rivisto al ribasso e ipotizziamo un +0,6% invece dell’1,2% inserito dal Def. 

I rialzi della Bce sono finiti o solo in pausa? E se la guerra in Medio Oriente portasse stagflazione, rischiamo di innescare una superspirale recessiva con anche tassi ancora in rialzo? 
I prossimi mesi saranno ancora molto complicati, i dati macro stanno peggiorando e ci aspettiamo qualche trimestre difficile, con un recupero dei mercati nel 2024. La nostra visione è che siamo ormai alla fine del ciclo di rialzo dei tassi. Attualmente, ci troviamo in una fase in cui le banche centrali stanno continuando con una narrativa restrittiva fino a quando non saranno sicuri che le spinte inflazionistiche siano completamente sotto controllo. Tuttavia, i segnali di indebolimento del ciclo economico stanno diventando sempre più evidenti, insieme ai segnali di stress sul credito, a causa dell’importante aumento dei tassi d’interesse che sta iniziando a produrre gli effetti restrittivi sull’economia. Per questo motivo nei prossimi mesi ci aspettiamo un calo dei tassi reali, alla luce del quadro macro in deterioramento, e un leggero allargamento degli spread creditizi, che finora si sono mantenuti relativamente sotto controllo.

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