Economia
I Benetton e l’insegnamento di Cuccia: le azioni si pesano, non si contano
La famiglia più importante d'Italia rimane centrale in qualsiasi partita
Generali, i Benetton mettono a frutto l’insegnamento di Cuccia: le azioni si pesano, non si contano
Hanno atteso mesi per schierare le loro azioni – lievitate fino al 4,75% del capitale totale – nella battaglia finanziaria del secolo, cioè quella del Leone. E l’hanno fatto non tanto perché volessero veramente fare da pacieri, come scritto su Il Sole 24 Ore di ieri, ma perché hanno preferito aspettare di capire come tirasse il vento. Evidentemente, a un certo punto a qualcuno è sembrato che la lista proposta da Francesco Gaetano Caltagirone potesse in qualche modo riuscire ad avvicinarsi a quel distacco del 6% sotto il quale sarebbe iniziata la battaglia delle carte bollate una volta finita l’assemblea.
Chiariamoci: il 41,73% del capitale votante (cioè il 29,4% del totale delle azioni) è un risultato migliore delle attese, che accreditavano il duo Caltagirone-Del Vecchio di un risicato 25-28%. Ma i Benetton intanto dimostrano ancora una volta di voler continuare nel loro capitalismo sotto traccia. Un piede qui e l’altro là, senza mai una direzione precisa.
Hanno venduto la gallina dalle uova d’oro, Autostrade, guadagnandoci una montagna di soldi nonostante siano stati i padroni durante la tragedia del Ponte Morandi. Hanno scaricato ogni responsabilità su Giovanni Castellucci (allora amministratore delegato) e sugli altri manager e hanno continuato per la loro strada.
Al tempo stesso, rimangono la famiglia più importante – se si escludono gli Elkan-Agnelli ormai però con capitali all’estero – in Italia. Soprattutto perché rimangono centrali in qualsiasi partita. Atlantia, ad esempio, di cui detengono un buon terzo delle azioni, diventerà presto appannaggio esclusivo dei Benetton e di Blackstone.
La conferma di Carlo Bertazzo nel ruolo di amministratore delegato e la nomina dell’ex Fincantieri e direttore del Dis Giampiero Massolo è un bel viatico per la holding che contiene al suo interno importanti partecipazioni in Abertis (50+1%) e in Aeroporti di Roma, oltre che il 51% di Telepass.
Poi c’è il capitolo Autogrill, che non riguarda Atlantia ma sempre la famiglia Benetton. Tramite la holding Schematrentaquattro, al momento i trevigiani detengono il 50,1% del capitale sociale del player della ristorazione “in viaggio”. E non è un mistero che si stiano studiando interazioni con il gruppo svizzero Dufry per dare vita a un nuovo polo europeo leader nella ristorazione.
Si tratterebbe di una Ops (offerta pubblica di scambio, quella che in gergo si chiama “carta contro carta”) che porterebbe i Benetton a detenere il 20% del totale della nuova creatura, saldamente primi azionisti.
Dunque, un attivismo che dalle parti di Ponzano Veneto non si vedeva da una vita. Da quando, cioè, si decise che i maglioncini erano simpatici, ma che bisognava spingersi oltre, puntando al salotto buono della finanza. Autostrade, in tutto, è costata loro 9 miliardi. Poi c’è stata l’avventura sfortunata in Telecom da cui sono usciti definitivamente nel 2009 con una perdita di quasi 2 miliardi. E poi c’è Mediobanca, dal cui patto di sindacato sono usciti lo scorso anno dopo che Del Vecchio e Caltagirone hanno iniziato la loro scalata alle roccaforti del capitalismo italiano.
Rimane dunque da osservare con attenzione l’attivismo di una famiglia rimasta ormai saldamente nelle mani di Luciano, il più anziano dei quattro fratelli eppure ancora attivissimo e del figlio Alessandro, sotto la cui guida Edizione è stata trasformata in una Spa. Quale sarà la prossima avventura dei Benetton?
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