Economia

Il Mef cede il 2% di Eni: da Poste a Fs, le altre liberalizzazioni in vista

di Redazione Economia

Se una quota fino al 49% di Ferrovie dello Stato e meno del 30% di Poste fosse messa sul mercato, lo Stato potrebbe raccogliere tra 4,7 e 6,7 miliardi di euro

Il governo Meloni fa cassa con le privatizzazioni: sul mercato il 2,8% di Eni. Operazione da 1,4 miliardi

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze cede una quota di minoranza di Eni. Si inaugura così la stagione delle privatizzazioni delle aziende a controllo pubblico per fare cassa, con l'obiettivo di raccogliere circa 20 miliardi entro il 2026. Le prossime in lista? Poste e Ferrovie dello Stato.

Il piano di privatizzazioni del governo italiano doveva prendere piede in primavera, e così è stato. L'obiettivo è di effettuare, nei prossimi tre anni, dismissioni patrimoniali per un ammontare pari all'1% del PIL. "La mia idea è ridurre la presenza dello Stato dove non è necessaria e riaffermarla dove lo è," dichiarava la premier Giorgia Meloni qualche mese fa. "Questo riguarda il tema della riduzione di quote di partecipazione statale che non riduce il controllo pubblico, e questo potrebbe essere il caso di Poste, mentre penso ci sia la possibilità di fare entrare i privati in società dove c’è il totale controllo pubblico come in Ferrovie."

Ma andiamo per ordine. Tutto è iniziato con la cessione di piccole quote di Monte dei Paschi di Siena (Mps). Dopo aver incassato oltre 900 milioni di euro per la vendita del 25% di Mps, il governo ha venduto un ulteriore 12,5% lo scorso marzo. Ora è il turno di Eni. Come spiega la nota del Mef, il processo di cessione del 2,8% del cane a sei zampe avverrà attraverso un consorzio di banche, e con una procedura accelerata di raccolta ordini (Accelerated Book Building) per la cessione di 91.965.735 azioni ordinarie di Eni, corrispondenti a circa il 2,8% del capitale sociale della società. L'obiettivo, considerato un prezzo dell'azione di circa 15 euro, è di circa 1,4 miliardi di euro

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Restano le partecipazioni in Poste Italiane e Ferrovie dello Stato. Sebbene non ci sia ancora nulla di definitivo, il governo ha margine di manovra, soprattutto considerando che il controllo di Poste è garantito non solo tramite la partecipazione diretta del Mef, ma anche attraverso la Cdp.

Proprio in merito a Poste qualche tempo fa Giorgetti affermava: "Ritengo che l’operazione di dismissione della partecipazione in Poste Italiane, se analizzata in maniera compiuta e da diversi angoli di visione, non possa non risultare conveniente e utile nella realizzazione del programma di dismissioni presentato dal Governo". Supponendo che sul mercato vada fino al 29% e che il Tesoro ceda interamente la sua quota (29,26%), mantenendo quella di Cdp al 35%, il Ministro Giorgetti ha calcolato un valore potenziale di circa 4,4 miliardi di euro.

Per Ferrovie dello Stato, la situazione è differente e più complessa. Già nel 2016 il governo Renzi aveva proposto di mettere sul mercato la holding e cedere parte delle azioni, ma l'idea non si è mai concretizzata a causa delle difficoltà operative e delle complessità legate alla gestione delle infrastrutture. Tuttavia, secondo alcune stime pubblicate da Il Sole 24 Ore, la vendita di una quota fino al 49% di Ferrovie dello Stato e meno del 30% di Poste potrebbe portare introiti per lo Stato tra 4,7 e 6,7 miliardi di euro.