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Economia
Il petrolio complica il lavoro di Draghi. Per il mercato nuovo Qe a marzo

Il petrolio sotto 30 dollari scompagina la strategia di Mario Draghi, mettendo la Bce di fronte alla necessità di rafforzare il quantitative easing. E un aumento degli acquisti mensili, anche se probabilmente non arriverà questo giovedì, sicuramente sarà sul tavolo, con le attese dei mercati che si concentrano sulla riunione di marzo o al più tardi giugno. La Bce - come è emerso dai verbali - ne aveva già discusso alla riunione di dicembre, scegliendo poi una linea più cauta: tagliare di 10 centesimi il tasso sui depositi a -0,30%, ampliare la gamma dei titoli acquistabili e allungare il 'qe' fino a primavera 2017, senza aumentare gli acquisti mensili che restano al limite di 60 miliardi di euro fissato dieci mesi fa. Un compromesso, da alcuni ribattezzato 'Qe2', con l'accordo a rivedere la decisione se necessario.

Nel frattempo, però, lo scenario su cui l'Eurotower formula le sue previsioni ha subito un netto peggioramento. Draghi, il mese scorso, aveva giustificato la prudenza della Bce con la previsione di un'inflazione 2016 in risalita all'1% (0,2% a dicembre scorso) a fronte di un petrolio a 52 dollari di prezzo medio. Gli sviluppi di questo primo scorcio di 2016 probabilmente cancelleranno questo scenario dal novero delle possibilità. Il petrolio in caduta libera, poi, sta affondando le aspettative d'inflazione a medio termine, con il tasso implicito a cinque anni ridisceso pericolosamente (oggi è a 1,58%) ai livelli precedenti al 'Qe esteso' lanciato a dicembre. E' una dinamica che la Bce non può trascurare, perché tali aspettative farebbero attecchire fra gli operatori economici la convinzione che Francoforte ha le mani legate, e che l'inflazione è destinata a restare sugli attuali livelli anemici: il brodo di coltura della deflazione. Non solo: l'euro galleggia poco sotto 1,09 dollari, il cambio ponderato all'export è addirittura in rialzo.

E una quota crescente dei bund tedeschi è scivolata sotto il -0,30% dei depositi, che è il limite minimo perché la Bce possa acquistare titoli di Stato. Intanto la Fed americana non sta a guardare: gli analisti, memori degli eccessi di ottimismo che costrinsero la Fed a fare marcia indietro nel 2010, posticipano almeno fino a giugno un nuovo possibile aumento dei tassi di interesse dopo quello deciso (secondo alcuni improvvidamente) a dicembre. Questo scenario piomberà giovedì su un consiglio della Bce diviso: l'ala dura dei tedeschi, a dicembre, ha fatto da freno e tornerà a farlo, con il presidente della Bundesbank Jens Weidmann che continua a mettere in guardia sugli effetti indesiderati del Qe.

Per poter sostenere le argomentazioni a favore di un nuovo allentamento, Draghi dovrà probabilmente aspettare almeno le nuove stime su crescita e inflazione in arrivo al consiglio direttivo di marzo. Solo allora, secondo gli economisti, potrà arrivare un ampliamento degli acquisti di titoli pubblici oltre i 60 miliardi mensili, che restano il limite fissato dalla Bce al lancio del Qe dieci mesi fa. E di un taglio ulteriore dei depositi, indispensabile per garantire che anche i titoli della Germania, ormai con una quota crescente sotto lo 0,30%, siano acquistabili (il tasso sui depositi rappresenta infatti la soglia minimima di rendimento a cui la Bce può comprare).

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