Il welfare state? E' morto. Italia pecora nera d'Europa
Ogni anno mezzo milione di persone in più finisce con il trovarsi in uno stato di povertà assoluta
di Piero Righetti
Dell’ultimo rapporto Istat sulla povertà in Italia reso pubblico venerdì 15 luglio ben poco si sono occupati giornali e mass media. L’attenzione, comunque più che giustificata, è stata riservata ai vari eventi drammatici che stanno insanguinando un po’ tutti i continenti, anche se questa attenzione si è rivelata, in molti casi, eccessiva, non rispettosa del diritto alla riservatezza e, al limite, addirittura morbosa. Ma è stato comunque uno sbaglio enorme non dedicare un maggiore spazio a questo rapporto che, a leggerlo con attenzione, rivela la profonda “ordinaria drammaticità” che da tempo caratterizza il nostro Paese. I dati nella loro crudezza sono questi: la povertà in Italia continua a crescere (altro che il Pil): nel 2015 4 milioni e 598.000 persone residenti in Italia vivevano in povertà assoluta (il 7,6% del totale della popolazione). La cifra più elevata degli ultimi 10 anni e in crescita dello 0,8% rispetto al 2014.
“Povertà assoluta” significa non essere in grado di far fronte ai bisogni essenziali della vita come mangiare e curarsi e – a parte il fatto altrettanto drammatico che altri milioni di persone rischiano concretamente di entrare in questo “girone dei dannati” – il dato che più dovrebbe farci riflettere è quello che in povertà assoluta vive il 10% degli under 35 e l’11% degli under 18, mentre gli over 65 sono “solo” il 4%. Dunque, per ripetere una frase ormai di moda, “l’Italia non è (proprio) un Paese per giovani”. Di Italia “in caduta libera” parlano poi le varie organizzazioni di volontariato che tentano di far fronte a questa drammatica realtà e che notano che il numero degli italiani che mangiano nelle mense per i poveri aumenta sempre di più: dall’uno su dieci di qualche anno fa, si è arrivati a 4/5 su 10, molti dei quali anche ben vestiti ed in possesso di buoni titoli di studio. L’Italia e la Grecia sono gli unici paesi, tra quelli che fanno parte dell’Unione Europea, che non hanno ancora uno strumento generale di contrasto alla povertà assoluta, mentre ce l’hanno ormai da tempo anche nazioni in cui il reddito medio è molto al di sotto di quello italiano.
A tutto ciò va aggiunto un altro fatto: l’Italia può dirsi, tra tasse dirette e indirette e contribuzioni da versare a vario titolo, la nazione europea con la più alta percentuale di “tagli” al reddito individuale. Un maggiore spazio, proprio in contemporanea a quello minimo dedicato al Rapporto sulla povertà, giornali e Tv l’hanno invece dedicato al “sì in prima battuta” che il Parlamento ha dato al d.d.l. del Governo sul c.d. “reddito di inclusione” per i più poveri, per il quale sono state stanziate per ora cifre assolutamente insufficienti. Oltre tutto si tratta di una legge di delega al Governo: i primi aiuti concreti di conseguenza potranno essere erogati non prima di 10/12 mesi da oggi. In un articolo di fondo, che mi trova pienamente d’accordo, l’Avvenire osservava che ogni anno mezzo milione di persone in più finisce con il trovarsi in uno stato di povertà assoluta. Quante saranno quelle che vi si aggiungeranno prima che questo d.d.l. delega possa diventare operativo?
“E – concludeva l’editoriale – i poveri, si sa, hanno questo maledetto vizio di mangiare tutti i giorni. Se ci riescono.”. Ma partiti e sindacati (sì, anche i sindacati che hanno finalmente dimostrato di avere ancora qualche funzione vitale), sono tutti impegnati quotidianamente a confrontarsi sul sì e sul no al provvedimento sulle modifiche costituzionali. Di ciò che vuol dire “stato sociale” e di quello che dovrebbe essere fatto per rivitalizzarlo nessuno praticamente parla, nemmeno quelli che in Tv compaiono tutti i giorni e a tutte le ore. Dunque il nostro stato sociale in pratica non esiste più o quasi. E’ completamente fallito nel giro di questi ultimi anni. Come non esistono più, un po’ in tutta Italia, ordine, rispetto delle leggi, serietà professionale pubblica e privata, senso di responsabilità (si va a timbrare la presenza propria – e in certi casi anche quella di altri colleghi – in mutande o con la testa nascosta in una scatola).