Ilva, 10 anni di lavori senza perdita di occupati: il modello Ruhr per Taranto
In 10 anni il bacino tedesco della Ruhr, con un investimento da 2,5 mld, è passato dall’essere una delle aree più inquinate del pianeta ad esempio di bonifica
Mentre l’Ilva di Taranto apre un nuovo capitolo della sua infinita telenovela, non è un mistero che Beppe Grillo, il fondatore e ora garante del M5S sogni un futuro totalmente green per l'area che ospita l'acciaieria più grande d'Europa.
Per bonificare l’Ilva e far tornare il bellissimo golfo di Taranto “una cosa meravigliosa con tecnologie di energie rinnovabili” Grillo suggerisce di guardare all’esempio della riconversione della tedesca Ruhr, dove “non hanno demolito, hanno bonificato”. Bacino minerario strategico fin dal 1800 con l’avvento della rivoluzione industriale, il Ruhrgebiet, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, coi suoi 5,3 milioni di abitanti sparsi su 4.535 km quadrati, per una densità che sfiora i 1.200 abitanti per chilometro quadrato è una delle aree urbane più estese d’Europa (comprende al suo interno ben 53 città).
Col declino dell’industria del carbone tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso il futuro della Ruhr sembrava compromesso sia da un punto di vista ambientale che economico. Invece la regione tra il 1990 e il 2000 fu protagonista del maggior progetto di bonifica e riconversione d’Europa: con circa 2,5 miliardi di euro di finanziamenti europei, statali e regionali vennero risanati i corsi d’acqua, messe in sicurezza e riconvertite le 142 miniere (quelle di Zollverein, a Essen, sono state dichiarate nel 2011 dall’Unesco patrimonio dell’umanità) da cui un tempo si estraevano fino a 120 milioni di tonnellate di carbone all’anno, trasformate in verde pubblico le aree industriali dismesse, migliorati i servizi con la creazione ex novo di piste ciclabili, musei, università, scuole e teatri.
Per riuscire nell’opera il governo regionale istituì un organo consultivo speciale, l’Internationale Bauausstellung Emscher Park Srl, senza potere giuridico-legale ma con la funzione di promuovere il dialogo e il confronto fra gruppi sociali e soggetti del settore industriale, tanto che nel suo comitato di coordinamento sedevano rappresentanti della regione, dei singoli comuni, degli ordini professionali di architetti, ingegneri e paesaggisti.
L’obiettivo, raggiunto, era di dar vita al Parco Regionale dell’Emscher che ad oggi ricopre un’area di circa 320 km quadrati (poco più del 7% del totale), connette 17 comuni (un terzo del totale) ed è percorribile in bicicletta. Risultato ancora più meritorio se si pensa che l’Internationale Bauausstellung Emscher Park non ebbe mai più di una trentina di dipendenti, compresi un direttore esecutivo e sei direttori scientifici part- time.
Segreto del successo è, secondo molti esperti, aver abbandonato la velleità di pianificare e dirigere la bonifica e aver scelto di limitarsi a coordinare i vari soggetti che operativamente vennero coinvolti nella stessa. Parlando di quanto stavano portando a termine, già nel 1999 Wolfgang Pent e Karl Ganser, animatori del progetto, dichiararono: “L’Iba si strutturò come un’agenzia di consulenza. Come tale, indicò le direzioni verso le quali le iniziative potevano svilupparsi. Può aver posto degli obbiettivi, fornito delle conoscenze, svolto il ruolo di public relation, ma pianificare è qualcosa che non ha mai fatto”.
L’esempio, virtuoso, delle Ruhr ha visto anche un recupero significativo di posti di lavoro che altrimenti sarebbero semplicemente andati perduti a seguito della crisi del settore, grazie alla costruzione ex-novo o al recupero di edifici dismessi per insediarvi parchi commerciali e parchi tecnologici.
Dopo oltre 25 anni dall’avvio di questa bonifica, il numero di persone impiegate nella Ruhr è tornato ad essere pari a quelle che vi lavoravano nel 1997 quando miniere e siderurgia erano ancora in attività. Riuscirà Di Maio e il Movimento 5 Stelle a seguire un esempio tanto virtuoso e positivo?
C’è solo da augurarselo, anche perché per quanto eccezionale il caso delle Ruhr non è unico: anche Bilbao, in Portogallo, e Pittsburgh, in America, sono riusciti a riconvertire distretti siderurgici in crisi e alle prese con una pesante eredità di inquinamento industriale, coinvolgendo il territorio e le migliori competenze disponibili, senza sperpero di denaro pubblico. Denaro che, oltretutto, ci sarebbe già: Grillo ha suggerito di utilizzare per la riconversione del gruppo tarantino i “circa 2,2 miliardi di euro che sono stati immessi in un fondo quando l’Europa si chiamava Ceca” (Comunità europea dalle imprese di carbone e acciaio, ndr) “proprio per i pensionamenti dei lavori usuranti e per le bonifiche”.
Luca Spoldi