Intesa Sanpaolo punta alla Cina come seconda area di crescita dopo l'Italia
Intesa pronta a fare investimenti e a siglare partnership strategiche per far diventare la Cina la seconda maggior area di crescita del gruppo dopo l'Italia
La Cina è un mercato sempre più interessante per Intesa Sanpaolo: secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato dell'istituto, Carlo Messina, che ha parlato a margine del World Economic Forum in corso a Davos, "Intesa guarda a possibili opzioni per crescere in Cina" e per questo verranno fatti investimenti e verranno valutate eventuali partnership strategiche con operatori locali, ma "niente operazioni di fusione o acquisizione". L'istituto italiano ha del resto già ricevuto il via libera per salire al 100% di una financial advisory company, oltre a possedere una partecipazione del 15% in un istituto bancario ed una del 49% in una società di gestione.
Messina ha aggiunto che nel nuovo piano d'impresa, che sarà presentato ufficialmente il mese prossimo, saranno messe assieme "tutte queste aree e la Cina potrà davvero essere la nostra seconda area di crescita, dopo l'Italia". Le dichiarazioni di Messina rafforzano l'interesse già emerso nei mesi scorsi, in particolare per quanto riguarda il project financing, un ambito che fa riferimento ad una divisione, la Cib (Corporate e Investment Banking), che vede il 40% del suo giro d'affari legato a clienti esteri e che si preannuncia particolarmente "caldo" nei prossimi anni proprio in Cina, grazie al piano di ammodernamento infrastrutturale da 40 miliardi di euro varato da Pechino che fa gola anche a tante società italiane come Salini Impregilo, piuttosto che Terna o Snam Rete Gas.
Oltre a fare da ponte per Pechino a favore di imprese italiane, il gruppo guidato da Carlo Messina potrà poi sfruttare la più che trentennale esperienza nel paese (grazie all'operatività sulla piazza di Hong Kong sin dal 1984) per assistere imprenditori e capitali cinesi in cerca di occasioni di business in Italia.
A questo punto, per chiudere il cerchio, non restava che provare a offrire i propri servizi direttamente agli investitori cinesi sul loro mercato domestico.
Un mercato colossale, visto che già a fine settembre l'offerta di denaro in Cina era pari a 21.900 miliardi di euro (da meno di 2.500 miliardi di euro nel 2002), mentre il debito pubblico è volato al 260% del Pil, la gran parte del quale (circa il 150% del Pil) rappresentato da debito delle aziende a controllo pubblico.
Un mercato che Pechino sta cercando di porre sotto un maggior controllo, anche per quanto riguarda il settore del risparmio gestito (ad esempio con la rimozione delle garanzie implicite per i prodotti di risparmio gestito), non senza proteste da parte delle stesse banche cinesi.
Per Intesa Sanpaolo, che sul risparmio gestito ha già deciso di puntare da tempo (è il secondo maggior gruppo in Italia in termini di masse gestite con quasi 400 miliardi di euro, dietro solo al gruppo Generali, che gestisce un patrimonio complessivo di quasi 483 miliardi), potrebbe essere l'occasione di rosicchiare quote di mercato.
Lo stesso numero uno del gruppo bancario, al riguardo, è apparso ottimista: la Cina "è l'unica area in cui vogliamo crescere, perché penso che in Europa più o meno non possiamo avere una crescita superiore a quella che abbiamo in Italia", mercato che soprattutto nell'ultimo anno ha già sfruttato la forte spinta dei Pir e più in generale dei fondi aperti (che lo scorso anno hanno raccolto circa 76 miliardi di euro, più del doppio dei 34 miliardi raccolti nel 2016), mentre "la Cina può davvero essere un'opzione di crescita".
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