Economia

Mediaset sale al 24% in Prosieben. Ma il piano Ue resta lettera morta

di Marco Scotti

Mediaset è salito nel gruppo tedesco Prosieben sino a un punto percentuale sotto la soglia del 25% che...

Mediaset sale al 24% in Prosieben. Ma il piano Ue resta lettera morta

Gli ultimi 12 mesi della famiglia Berlusconi sono stati un crescendo di emozioni. Ma questa volta non c’entrano né la politica né le vicende giudiziarie. A far parlare – e molto – di sé è il secondo amore del magnate di Arcore (il primo è il mattone): la televisione. Notizia di oggi è che tramite la controllata Mediaset Espana il Biscione è salito al 24% del gruppo tedesco Prosieben, un punto percentuale sotto la soglia del 25% che può essere superata solo con l’autorizzazione dell’Antitrust tedesco.

Un affare da 103,9 milioni di euro per 8 milioni di azioni pari al 3,43% del complessivo. Mediaset Espana controllava già il 9,75% e con oggi si porta al 13,18%, mentre la casa madre rimane appena sotto l’11%. La domanda che rimane, però, è: perché? Qual è l’idea di fondo che ha convinto la famiglia Berlusconi a puntare con forza su una rete straniera? Le risposte possibili sono molteplici.

La prima è quella di creare una “massa critica”, ovvero un polo televisivo sovranazionale che sappia reggere l’urto della televisione on demand. Ma c’è un problema: se Apple e Disney lanciano le loro piattaforme, hanno una potenza di fuoco che è paragonabile a quella di stati nazionali. La prima ha una capitalizzazione in borsa di 2.200 miliardi di dollari, ovvero 120 miliardi in più dell’intero pil italiano del 2019. Disney si ferma – si fa per dire – a 315 miliardi. Sono cifre che non permettono repliche: come si fa a opporsi a una simile disponibilità finanziaria? Appunto, non si può.

Il tentativo, poi, di andare a creare un canale tv europeo c’è già stato sotto la mano nobile delle istituzioni continentali. Si tratta di Euronews, una piattaforma di approfondimento lanciata dall’Ebu il 1° gennaio del 1993, quando si rese necessario trovare un modo per raccontare le vicende globali in un modo univoco. Ma un progetto così, ancorché remunerativo, quanto può valere: l’egiziano Naguib Sawiris ha rilevato il 53% della società il 15 ottobre del 2015 per 35 milioni di euro. E non c’è motivo di pensare che, nel frattempo, la tv generalista si sia apprezzata.

Dunque, rimangono in piedi altre domande. Prima di tutto: che cosa ne sarà della battaglia con Vivendi? I segnali sembrano pendere a favore di Fininvest, ma è presto per cantare vittoria.

D’altronde, abbiamo parlato di un anno molto intenso per la famiglia Berlusconi e per Pier Silvio in particolare. Il quale, il 10 gennaio dello scorso anno aveva dichiarato che l’azienda stava “provando faticosamente ad andare avanti con il progetto che ha solide basi industriali e che vede la creazione di un broadcaster europeo che abbia forza e dimensione per affrontare il futuro”. Erano i giorni dello scontro più duro con Vivendi, quello che dovrebbe arrivare a una soluzione il prossimo 11 febbraio con la pronuncia sulla richiesta danni di Mediaset (tre miliardi) per la mancata vendita di Premium. 

A febbraio, tramite la holding Mfe (Media For Europe), si è deciso di trasferire il centro di comando in Olanda per poter beneficiare della legislazione più morbida in materia di diritto societario. Anche lì Vivendi provò a opporre resistenza, ma il tribunale di Amsterdam all’inizio diede torto a Bollorè. A settembre dello scorso anno invece lo stoppò.

Ora c’è un’altra vicenda aperta: se infatti l’Italia dovesse dare il definitivo via libera al voto plurimo (già 53 quotate sul listino milanese ne fanno uso in modo diverso) Vivendi – che oggi detiene il 28,8% delle azioni e dei diritti di voto tramite Simon Fiduciaria (19,92%) e tramite azioni dirette – verrebbe definitivamente messa all’angolo. D’altronde il voto plurimo è la definitiva inverazione dell’assioma di Enrico Cuccia: le azioni non si contano, si pesano. Si tratta di una norma che va a beneficio di chi detiene il pacchetto di maggioranza relativo ma non ha intenzione di mettere sul piatto altri soldi. Ne beneficiarono, a suo tempo, anche gli Agnelli-Elkann quando portarono Fca in Olanda.

Infine, c’è il tema della golden power, che il governo ha già attivato per il dossier media, oltretutto affidando all’Agcom il compito di vigilare sulla pluralità d’informazione. Nessuna scalata ostile da parte dei francesi, dunque. Che pure vorrebbero eccome diventare primi azionisti dell’azienda, molto più di quando non vogliano diventarlo in Tim. Ma rimane l’incertezza sul futuro. Il bilancio semestrale è in profondo rosso sia per l’Italia che per la Spagna ma non per “colpe” del Biscione ma per il tracollo della pubblicità, scesa del 26,8% complessivamente nonostante l’incremento anche del 50% del numero di telespettatori.

I Berlusconi hanno dimostrato con la cessione del Milan di essere disposti a liberarsi perfino dei gioielli più belli della corona se smettono di brillare. Escludendo – per ovvie ragioni – l’intenzione di lasciare il pacchetto di maggioranza a Vivendi. Ma l’intenzione potrebbe essere di abbandonare una quota cospicua del capitale, magari facendo leva sul voto plurimo: tenere il controllo smobilizzando risorse sarebbe un colpo gobbo. Oppure voltare definitivamente pagina. Il Covid, d’altronde, ha mostrato che i cigni neri esistono. Eccome se esistono.