Economia

Mercati sempre più a rischio bolla. L'onda che allarma le Borse

Bri: crescita dei prestiti a leva segnala squilibrio crescente tra rischio e rendimento, la bolla finanziaria può esplodere. In Italia le banche ne approfittano

I prestiti a leva sono tornati in Europa ai livelli di 10 anni fa, poco oltre i 182 miliardi di euro di controvalore. Niente in confronto al livello ormai toccato negli Stati Uniti: 1.400 miliardi di dollari, tanto che la Banca dei regolamenti internazionale (Bri) in un documento dedicato a questo fenomeno mette esplicitamente in guardia contro il rischio di fare credito a soggetti troppo indebitati e senza adeguate garanzie.

E’ solo l’ultimo degli indicatori che segnalano, per ora senza che la cosa generi grandi timori, che la nuova “bolla” finanziaria non solo è già in fase di crescita, ma ha raggiunto ormai dimensioni pericolsamente simili a quelle che nel 2008 portarono allo scoppio della maggiore crisi finanziaria mondiale dagli anni Trenta del Novecento.

Sempre la Bri ha fatto notare, ad esempio, come col progressivo calo dei tassi d’interesse l’ammontare del debito con rendimenti negativi avesse raggiunto livelli record: oltre 17 mila miliardi di dollari secondo alcune stime, pari a circa il 20% del Pil mondiale. “Anche al culmine della grande crisi finanziaria, ciò sarebbe stato impensabile”, ha commentato Claudio Borio, capo del Dipartimento monetario ed economico della Bri, aggiungendo che “vi è qualcosa di vagamente inquietante quando l’impensabile diventa ordinario.”

Difficile dargli torto quando dalle analisi della stessa Bri emerge come vi siano sempre più simlitudini tra i Collateralised debt obligations (Cdo) dei mutui subprime prima della crisi del 2008 e le attuali Collateralised loan obligations (Clo) garantite da prestiti a leva, “soprattutto alla luce della concentrazione di alcune esposizioni bancarie note, delle incertezze sulle dimensioni e sulla distribuzione di quelle indirette e dell’impennata della finanza di mercato dopo la crisi”.

Eppure, il processo di normalizzazione della politica monetaria si è arrestato ed invertito, i tassi di riferimento hanno ricominciato a scendere in America come in Europa e i bilanci delle banche centrali ad ampliarsi in termini aggregati, con la Fed che è tornata a fornire liquidità al mercato con operazioni “Repo” di finanziamento a brevissimo termine che aveva sospeso dal 2008, per un ammontare crescente (si è partiti da poco più di 53 miliardi a metà settembre, si è poi saliti a 75 miliardi la settimana successiva), ha limato i tassi (e tutto lascia pensare che continuerà a farlo) e ripreso gli acquisti di bond sul mercato per sostituire quelli in portafoglio che vengono a scadere.

Il tutto dopo che la Bce ha annunciato un ultimo “bazooka” consistente in tassi sempre più negativi sui depositi (ma sterilizzati per le banche depositanti nette così da non incidere ulteriormente sulla loro redditività) e una ripresa da ottobre degli acquisti di bond sul mercato, per ora al ritmo di 15 miliardi di euro al mese. Da parte sua la Cina per ora prosegue una politica monetaria “prudente”, ma ha anche ribadito di voler mantenere la liquidità del mercato “ad un livello ragionevolmente ampio” quest’anno, tanto che qualche giorno fa ha iniettato 40 miliardi di yuan (5,2 miliardi di euro) nel sistema finanziario attraverso un’operazione “reverse Repo” a 14 giorni con un tasso di interesse del 2,7%.

Da parte loro gli intermediari osservano questo scenario cercando ciascuno di approfittarne per la propria parte: le banche commerciali sfruttano il crescente appetito per il rischio degli investitori per accelerare la pulizia dei loro portafogli e migliorare così la qualità del credito, cedendo in particolare nuovi pacchetti di Utp (“Unlikely to pay” o inadempienze probabili), visto che ormai lo stock di sofferenze (crediti già scaduti) è in via di esaurimento, agli operatori specializzati.

Tra chi si era mosso per tempo e ha già raggiunto portafogli importanti sono ormai in corso grandi manovre, come per Banca Ifis, che a fine luglio ha avviato trattative per cercare di unire le forze col Credito Fondiario, o Cerved, a sua volta tentato dal varare una partnership con altri operatori o cedere la divisione specializzata nella gestione dei crediti (in particolare quelli deteriorati). 

Nel frattempo gli ultimi arrivati continuano a fare affari, come Illimity, la nuova banca varata da Corrado Passera che proprio in queste ore ha annunciato l’acquisto di 850 milioni di Utp ceduti da Unicredit (circa 730 milioni) e altre due controparti, o Clessidra Sgr (gruppo Italmobiliare) che ha fatto il suo ingresso nel settore col lancio di Clessidra Restructuring Fund, fondo riservato a investitori istituzionali che parte da 230 miloni di euro di portafoglio avendo rilevato posizioni cedute da una decina di gruppi bancari e finanziari tra cui Banco Bpm, Bper Banca, Mps e Ubi Banca.

Crediti, precisano in Clessidra, che si riferiscono a 14 aziende in corso di ristrutturazione, con ricavi complessivi per circa 1,4 miliardi e un Ebitda aggregato di circa 50 milioni. Come dire che, almeno nel “bel paese”, la febbre da rendimento non ha ancora raggiunto livelli troppo elevati e per ora non induce gli investitori a derogare al pre-requisito della congruità del livello di rischio rispetto al rendimento atteso. 

Viene da sperare che anche nel resto d’Europa, come negli Stati Uniti e in Cina, il rischio sia ancora sotto controllo, ma il crescere dei volumi di prestiti levereggiati è di per sé un campanello d’allarme da non sottovalutare. Tanto più che a differenza che nel 2008 le banche centrali potrebbero non avere più molto margine d’intervento se i loro “bazooka” avessero già sparato tutte le cartucce prima dell’esplosione della bolla, magari in concomitanza col manifestarsi di una recessione che per natura è ciclica e non potrà essere rinviata all’infinito.

Luca Spoldi