Mutui, azioni, bond e commodity. Investire con il petrolio a oltre 50 dollari
Cosa cambia per mercati e investitori dopo l’accordo Opec per ridurre la produzione petrolifera
Tutti contenti dunque? Non proprio: di sicuro non saranno contenti gli automobilisti di tutto il mondo (Italia in testa, visto che ogni volta che il costo industriale della benzina aumenta di un centesimo, il prezzo alla pompa aumenta di oltre 2 centesimi per via del carico fiscale esistente), ma neppure i proprietari di raffinerie come i Moratti (Saras) o i Garrone (Erg) possono sorridere, perché l’aumento del costo della materia prima tende a comprimere i margini di raffinazione, ossia il profitto delle loro attività.
Più in generale un rialzo duraturo dei costi del petrolio tende a generare una maggiore spinta inflattiva e se questo potrebbe dare un impulso alla ripresa europea, finora afflitta da un’inflazione vicino o a tratti sotto zero, al rischio inflazione si accompagna inevitabilmente una politica monetaria meno rilassata. Gli aumenti dei tassi si iniziano a vedere in America e presto o tardi si vedranno anche in Europa e in Asia: non è lo scenario ideale per quei titoli come le utilies (Enel, A2A, Italgas, Snam o Terna) che sono sensibili ai tassi a causa dell’ingente indebitamento di cui hanno bisogno per svolgere la loro attività.
Ugualmente poco soddisfatti saranno tutti coloro che operano in campi sensibili al costo dell’energia (che un rialzo del petrolio può tornare a mettere sotto pressione), come i produttori di acciaio o cemento (Buzzi Unicem ne è un esempio). E ovviamente sono sempre meno tranquilli gli investitori in bond: un rialzo strisciante dei tassi ufficiali viene accompagnato, se non preceduto, da un analogo irrigidimento delle curve dei tassi di mercato. Questo significa che gli investitori in bond, come i fondi pensione, dovranno accorciare le duration dei portafogli per ridurre l’impatto negativo di futuri rialzi (che comunque rischia di pesare sulle performance che saranno in grado di offrire).
Decisamente non è un buon momento per investire in titoli a medio-lungo termine, tanto meno in Btp a 10, 30 o peggio a 50 anni, sia che lo facciate direttamente sottoscrivendo i titoli, sia che inseriate in portafoglio polizze vita collegate a gestioni separate o in comparti obbligazionari di fondi pensione. Per quanto possa sembrare strano, chi ha acceso un piano previdenziale integrativo farà meglio a incrementare la componente azionaria o quanto meno spostarsi da comparti obbligazionari a comparti monetari, se vorrà evitare di vedere a fine anno il suo capitale diminuire anziché aumentare.
Ultimo ma non meno importante: se avete intenzione di accendere un mutuo, non perdete troppo tempo a pensarci e tentate di ottenere un buon tasso fisso (le offerte migliori al momento oscillano tra l’1,7% e il 2% circa su una scadenza di 30 anni). Insistere ora su un tasso variabile vi farebbe sì risparmiare attorno al messo punto percentuale ora (le migliori offerte danzano tra lo 0,9% e l’1,5%) ma vi esporrebbero al rischio di pagare assai di più in un futuro che appare ormai non così distante.
Luca Spoldi