Mutui, la fregatura dell'Europa. Cambia il calcolo dei varabili
L’imminente riforma del metodo di calcolo dell’Euribor potrebbe comportare oscillazioni del tasso forse superiori a quanto si è visto finora
Gli anni del “denaro a costo zero” (o sotto zero) stanno per finire, ripetono da mesi gli analisti anche se le ultime decisioni sia in Europa, dove la Bce ha prorogato di altri nove mesi, fino a fine settembre prossimo, gli acquisti di bond sul mercato, sia negli Stati Uniti, dove Donald Trump ha optato per il repubblicano moderato Jerome Powell come successore di Janet Yellen, garantendo di fatto una transizione non traumatica, hanno ridotto di molto i timori che il 2018 potesse essere un anno di decisa rottura rispetto allo scenario tuttora prevalente i tassi vicini ai minimi storici.
Ma l’imminente riforma del metodo di calcolo dell’Euribor (Euro inter bank offered rate, ossia il tasso applicato sui prestiti interbancari) sulla base delle indicazioni dello European money market institute potrebbe comportare oscillazioni del tasso forse superiori a quanto si è visto finora e la cosa rischia di non far comunque dormire tranquilli coloro che hanno sottoscritto mutui a tasso variabile, parametrati proprio sulla base di tale indice.
L’Euribor al momento viene calcolato sulla base delle indicazioni fornite ogni mattina, entro le 10.45, da un gruppo composto da 20 banche europee (per l’Italia sono Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mps). Il gruppo si è ridotto negli anni (fino al 2012 erano 44 le banche coinvolte nella rilevazione) e tra gli istituti rimasti alcuni sono stati coinvolti negli scandali sui tentativi di manipolazione del tasso stesso: passare da una determinazione basata su un campione di indicazioni “spot” ad una media dei tassi registrati nell’arco dell’intera seduta sembra dunque un’ottima idea per ridare trasparenza e credibilità all’Euribor e stabilità ai tassi applicati sui mutui a tasso variabile in tutta Eurolandia.
Il problema è che proprio a causa dell’abbondante liquidità immessa sul mercato dalla Bce, il mercato è diventato molto “sottile”, ossia con pochi scambi e quindi significativi scostamenti del tasso nell’arco dell’intera giornata. Il rischio, in concreto, è che almeno finché la Bce non drenerà in parte la liquidità (spingendo le banche a tornare a prestarsi i soldi l’un l’altra) il nuovo Euribor possa produrre qualche grattacapo ai mutuatari, che potrebbero vedere variazioni più ampie di quelle a cui sono abituati al momento da un mese con l’altro.
Il rischio, va detto, per ora resta teorico: fra sviluppo del nuovo processo, sperimentazione, consultazioni con gli attori del mercato che dovranno a quel punto aggiornare tutti i contratti di mutuo in essere, il “nuovo” Euribor debutterà non prima del giugno 2019, o forse anche da gennaio 2020, giusto un anno prima che il “gemello” Libor, la cui riforma non è piaciuta alla Financial conduct authority britannica, venga pensionato (con la necessità di riparametrare qualcosa come 350 triliardi di prodotti finanziari che negli anni lo avevano preso a riferimento).
Anche così il 2018 potrebbe essere un anno chiave per valutare se la progressiva fine del programma di quantitative easing porterà o meno a un aumento del premio per il rischio richiesto dagli investitori e se le banche torneranno o meno a prestarsi denaro a vicenda. Quanto alla prima ipotesi, per ora gli analisti sembrano scettici: nonostante la vulgata corrente, hanno fatto notare di recente gli uomini di Deutsche Asset Management (divisione di asset management del gruppo Deutsche Bank), “è improbabile” che la riduzione degli acquisti mensili di bond sul mercato da parte della Bce “si traduca in un aumento degli spread” pagati dagli emittenti di paesi periferici rispetto ai Bund tedeschi. Guardando al recente passato si nota infatti come tra il 2010 e il 2012 i premi per il rischio siano aumentati nonostante gli interventi della Bce sul mercato, mentre dopo la famosa dichiarazione del presidente Mario Draghi sull’impegno della Bce “a fare tutto ciò che serve” (“whatever it takes”), gli spread sono sensibilmente diminuiti senza che la Bce abbia dovuto spendere un centesimo in titoli sovrani.
“Paradossalmente nel 2015, quando la Bce è tornata a comprare nuovamente titoli sovrani (anche se per ragioni diverse rispetto al 2010), gli spread hanno cominciato a muoversi lateralmente e a volte si sono persino nuovamente ampliati”, concludono gli analisti tedeschi. Ma se il premio per il rischio non salirà, le banche saranno interessate a sviluppare maggiormente la propria attività sul mercato interbancario?
La risposta potrebbe essere ugualmente negativa e questo significherebbe che il rischio di vedere un parametro come l’Euribor venire calcolato su scambi poco significativi è concreto. A quel punto anche l’Euribor andrà in pensione come il Libor o si troverà il modo di renderne più trasparente il metodo di calcolo? I sottoscrittori di mutui a tasso variabile per ora non possono che stare a guardare, sperando che i tassi salgano nel modo più graduale possibile, visto che al di sotto dei livelli visti in questi ultimi due anni è davvero difficile che possano più andare.