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Il biotech in Italia continua a crescere. Più di 700 imprese,13mila addetti

Presentato il rapporto annuale Assobiotec-Federchimica ed Enea riferito al '20

A fine 2020 erano 721 le imprese biotech attive in Italia: è quanto emerge  dal rapporto annuale Assobiotec-Federchimica ed ENEA “Le imprese di biotecnologia in Italia. Facts&Figures – Aggiornamento congiunturale 2021” che mostra un trend di crescita del settore per le principali variabili economiche, sebbene a tassi più contenuti rispetto a quelli rilevati fino al 2016.

Solo il dato sul fatturato totale delle imprese (oltre 11 miliardi di euro) mostra un lieve arretramento nel 2019 sul 2018, pur non essendosi modificate in maniera significativa né l'operatività nè la reddititività del settore.

In deciso aumento, invece, il fatturato biotech delle imprese a capitale italiano specializzate nella R&S biotecnologica che, rispetto all’anno precedente, cresce nel 2019 di oltre il 23%, ben al di sopra della media annua del 12,3% registrata fra il 2014 e il 2019. Da evidenziare anche l’aumento registrato, sempre per queste imprese, negli investimenti in R&S intra-muros, salito nel 2019 dell’11,4% rispetto all’anno precedente e del 46,7% rispetto al 2014, a fronte di una crescita nello stesso periodo 2014-2019 di circa il 31,5% per la spesa in R&S intra-muros del complesso delle imprese italiane.

La stessa dinamica di crescita relativa alle imprese a controllo italiano, che dedicano almeno il 75% dei propri investimenti in R&S alla ricerca nelle biotecnologie, si rileva sostanzialmente anche per la variabile degli addetti al biotech in generale (oltre 13 mila addetti),  e alla ricerca nelle biotecnologie determinando, quindi, un continuo aumento del peso di tali imprese sul totale del settore in Italia

Sebbene l’attività delle imprese biotecnologiche rimanga in gran parte concentrata nell’ambito della salute  tra il 2014 e il 2019 si registra una tendenziale espansione delle quote relative alle imprese che sviluppano applicazioni biotecnologiche per l’industria e l’ambiente oltre che per l’agricoltura e la zootecnia. Per questi stessi settori, fra il 2014 e il 2019 ancora più velocemente è cresciuto il volume degli investimenti in R&S intra-muros biotecnologica, con incrementi di +52% per industria e ambiente e di +64% per agricoltura e zootecnia. Nel complesso, tuttavia, tali investimenti restano ancora decisamente concentrati nell’ambito della salute umana per l’88%.

La quota di imprese di micro o piccole dimensioni supera l’80% del totale del settore, mentre le grandi imprese rappresentano il 9% dell’intera popolazione in analisi. Con una quota in continua crescita sul totale, oltre il 20% nel 2020, le start-up innovative contribuiscono significativamente all’espansione in termini di numero di imprese del settore delle biotecnologie in Italia.

A livello territoriale l’assetto del settore non presenta modifiche sostanziali. La presenza delle imprese biotech italiane è diffusa su tutto il territorio nazionale e, sebbene si registri una lieve crescita di quota delle regioni del Mezzogiorno (dal 16,6% del 2014 al 19,2% del 2019), il settore rimane concentrato per più del 60% nel nord del Paese.

La concentrazione è ancora maggiore per le variabili economiche, con oltre l’85% del fatturato da attività biotech e più del 75% degli investimenti in R&S intra-muros che continuano ad essere realizzati in sole tre regioni: Lombardia, Lazio e Toscana.

Unica regione meridionale che emerge per quota sul totale del numero di imprese e di investimenti in R&S è la Campania.

Il sondaggio 

Quello delle biotecnologie in Italia è un settore che, anche in un momento difficile come è stato quello della pandemia, ha saputo fronteggiare al meglio condizioni e imprevisti dai contorni indefiniti.

Infatti i risultati di un breve sondaggio, effettuato tra maggio e giugno 2021 a un campione di imprese tra quelle seguite per l’elaborazione del rapporto e finalizzato a fotografare il comparto a un anno dalla pandemia e dalle norme che hanno regolato le attività economiche e occupazionali, mostra che la dimensione ridotta delle imprese e la vocazione all’export (anche se nella maggior parte dei casi per meno di un terzo rispetto al totale prodotto) non hanno impedito alle imprese di affrontare le nuove condizioni, dimostrando resilienza e un buon grado di adattamento

Circa il 70% delle intervistate ha dichiarato un fatturato stabile, se non in aumento. Per coloro che hanno assistito a una sua diminuzione si parla di percentuali comprese tra il 20% e il 50% e si stima un rientro dei volumi precedenti in circa un anno.

Per le imprese colpite dalla pandemia è stato possibile accedere agli aiuti straordinari e ai finanziamenti garantiti dallo Stato, utilizzati peraltro da una quota ristretta delle aziende coinvolte.

Nonostante le limitazioni imposte, la maggioranza delle aziende intervistate è tuttavia riuscita a organizzarsi contando sulle proprie riserve e in funzione del contesto. Considerando, ad esempio, il livello dell’occupazione si rileva che questo è rimasto stabile grazie anche a una ripianificazione che ha consentito il prosieguo delle attività; per alcune imprese si è registrato addirittura un aumento della forza lavoro.

Interessante osservare per la gran parte delle imprese una tenuta delle attività di R&S: è stato possibile, quindi, salvaguardare la quota di attività aziendali destinate all’innovazione.

Circa le prospettive future sembra che le attività per il prossimo periodo si concentreranno su più fronti: in particolare si stanno pianificando nuove aree di attività/ricerca per rispondere alle esigenze della popolazione (attività di screening, prevenzione).