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Lepre: non solo pandemia, è la mancata innovazione la palla al piede del Sud
Carenze strutturali alla base del rischio di espulsione dal mercato di molte imprese. Sono quelle che non esportano e poco attente alle nuove tecnologie.
“La recente indagine congiunta tra Svimez e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne di Unioncamere avrebbe meritato maggior clamore. In particolare, non sembra che i risultati siano stati compresi in tutta la loro gravità”. A parlare è Anna Lepre, direttore del Centro Studi Lepre Group. L’economista si riferisce a una ricerca condotta su un campione di 4mila imprese manifatturiere e dei servizi tra 5 e 499 addetti. Dalla ricerca emerge, tra l’altro, che sono ben 73.200, circa il 15% del totale, le imprese a rischio di espulsione dal mercato. E di queste le attività dei servizi (17%) sono quasi il doppio delle manifatturiere (9%). Un risultato che è causato non solo dal blocco più o meno esteso delle attività per effetto della pandemia, ma anche da carenze strutturali. “Il 48% delle imprese italiane rientra tra le cosiddette fragili”, spiega Anna Lepre. “Significa che non innovano, non sono digitalizzate e non esportano. Al Sud, poi, la percentuale delle fragili arriva al 55%”.
Delle 73.200 imprese a rischio, quasi 20 mila (19.900) sono del Mezzogiorno e 17.500 del Centro. “E’ questo dato in particolare che non è stato sufficientemente enfatizzato”, spiega Lepre. “Bisogna infatti rapportarlo al complesso delle imprese, che sia nel Sud che nel Centro sono meno numerose. Il raffronto percentuale rende molto meglio la drammaticità della situazione: il 17% delle imprese del Centro e del Sud sono a rischio espulsione dal mercato, mentre nel Nord Ovest il dato si abbassa al 14%, e nel Nord Est si riduce fino al 12%. Il gap meridionale, in pratica, invece di diminuire si espande, estendendosi anche territorialmente alle regioni centrali”.
Per il direttore del Centro Studi Lepre Group, l’unica strada efficace per contrastare il declino produttivo economico e sociale è puntare sull’innovazione. “Le misure assistenziali possono servire per l’immediato ma, come dimostrano gli esiti della stessa indagine Svimez-Tagliacarne, occorre innanzitutto rendere più resilienti le imprese. Non a caso il settore che resiste di più è quello per sua natura più proiettato strutturalmente verso l’evoluzione tecnologica: il manifatturiero. Le difficoltà che attraversano in questa fase i servizi sono maggiori”.
Di qui, quella che per Lepre è la ricetta obbligata: il rilancio dell’economia italiana, ancor più di quella meridionale, passa dal consolidamento delle punte di eccellenza presenti nel territorio, per renderle pivot di processi di crescita ramificati. “E’ quello che purtroppo è mancato in passato”, rimarca Lepre, “fin dall’epoca Casmez, della costituzione delle famose cattedrali nel deserto. La forte aspettativa di un rilancio infrastrutturale del Mezzogiorno nasce dalla consapevolezza che solo rendendo il territorio più competitivo, le imprese qualificate potranno dare vita a effetti moltiplicativi, sviluppando un indotto all’altezza dei loro standard sia per dimensioni che per tassi di innovazione di processi e prodotti”.