Economia

Partite Iva, Gualtieri al lavoro sulla stretta alla flat tax. Ecco cosa cambia

Luca Spoldi

La mini-aliquota non sarà estesa ai 100 mila euro di ricavi. Stretta sul regime forfettario

Mantenere tutte le misure fatte dai precedenti governi, tagliare il cuneo fiscale, evitare l’incremento dell’Iva: troppo per il governo Conte-bis che prova a revisionare le misure ereditate dai governi precedenti, incluso quello presieduto dallo stesso Giuseppe Conte ma composto da Lega e M5S, per recuperare qualche miliardo di euro. Una delle prime spese a finire sotto la lente dei tecnici del ministero dell’Economia e finanze pare destinata ad essere la “flat tax” che avrebbe dovuto partire in pompa magna l’anno scorso ma è poi stata rinviata al primo gennaio 2020 (sui redditi 2019), senza dunque aver prodotto ancora alcun “buco” di gettito.

Al momento, in base alla legge di bilancio 2019, la flat tax è un’imposta sostitutiva del 15% applicata ai titolari di partite Iva con ricavi compresi fino a 65 mila euro (i cosidetti “forfettari”), ovvero del 20% nel caso di ricavi tra 65.001 e 100.000 euro. Quest’ultimo regime, un’estensione del primo, potrebbe non vedere mai la nascita come ha di fatto anticipato il successore di Giovanni Tria, Roberto Gualtieri. I relativi contribuenti rimarrebbero dunque nel regime ordinario al 22% con relativi adempimenti fiscali.

Limitando l’imposta sostitutiva ai 65 mila euro (regime già autorizzato anche dalla Ue e che interessa fino a 2 milioni di contribuenti) Conte risparmierebbe 2 miliardi di euro l’anno, ma non solo. Sulla stessa flat tax per le piccole e piccolissime partite Iva, ossia i “forfettari”, la discussione resta aperta: vi sarebbe infatti la volontà di trovare il modo di introdurre limiti e correttivi.

Un’ipotesi sarebbe quella di tornare a differenziare il limite di 65 mila euro di ricavi in base al tipo di attività esercitato: fino all’anno scorso ad esempio i professionisti avevano un limite di soli 30 mila euro, i commercianti di 50 mila e così via. Un’altra ipotesi riguarda la reintroduzione dei limiti di erogazione di compensi a lavoratori dipendenti da parte di chi ha aderito alla “flat tax” (fino allo scorso anno il limite era di 5 mila euro l’anno), ovvero di acquisto di beni strumentali (sempre fino allo scorso anno non si potevano superare i 20 mila euro annui). Sarebbe poi allo studio una possibile limitazione della facoltà di uscire dal regime della “flat tax” per poi ritornarvi, così da ridurre al minimo il fenomeno, potenzialmente elusivo, di chi un anno non fattura nulla e l’anno successivo torna ad avvalersi della “flat tax”.

Meno probabile pare l’ipotesi di un ritocchino, ad esempio dal 15% al 20%, dell’aliquota applicata, che già ora può rivelarsi penalizzante per le micro-imprese che non siano delle startup (per le quali è prevista un’aliquota di solo il 5%), così come sembra esclusa l’estensione ai “forfettari” dell’obbligo di fatturazione elettronica.

Quanto alla platea interessata al cambio, secondo le prime indicazioni il cambio di regime dovrebbe riguardare principalmente i contribuenti di età tra i 40 e i 65 anni, con una percentuale consistente anche tra gli over 65enni (mentre gli under 30 non supererebbero l’1% del totale), in particolare residenti nelle regioni della Valled’Aosta, del Trentino Alto Adige, delle Marche e del Piemonte.

Al contrario per i contribuenti residenti in Lombardia, dove si concentrano partite Iva con oltre 100 mila euro di ricavi annui, non vi sarebbe alcun cambiamento significativo, come dire che la modifica non dovrebbe essere percepita come “punitiva” per l’elettorato leghista o almeno questo è quello che sembrano sperare Gualtieri e Conte.