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Economia
Passera: “Resto in illimity oltre il 2025. Banche ed Europa: non ci siamo"

Passera: “Resto in illimity oltre il 2025. Banche ed Europa? Non ci siamo". L'intervista esclusiva di Affaritaliani.it 

“L’accordo con gli azionisti era che sarei rimasto almeno fino al 2025. Ma l’orizzonte temporale si amplia, gli obiettivi da raggiungere sono diventati ancora più ampi. In cinque anni abbiamo portato l’utile da zero a oltre 100 milioni, ma guardo più lontano perché c’è ancora tanto da fare”. Corrado Passera, amministratore delegato e fondatore di illimity, racconta in una lunga intervista esclusiva ad Affaritaliani.it quali sfide deve affrontare la banca da lui creata e guidata. E quali saranno i modelli cui ispirarsi per gli anni a venire.

Partendo da una certezza: che l’investimento diretto in portafogli di crediti “distressed” – in particolare le “sofferenze” – rappresenta il passato di illimity e che oggi l’idea è quella di continuare a concentrarsi sempre più sul credito specializzato alle Pmi. Una platea potenzialmente infinita di aziende da aiutare a crescere, risanare, rilanciare. Il mestiere di banca che “si sporca le mani”, che lavora con le imprese e che illimity fa dal primo giorno della sua nascita, circa cinque anni fa.

Ma non una banca tradizionale, perché supportata da una tecnologia proprietaria avanzatissima che consente di guardare al futuro con ancora più ottimismo. Più di sette miliardi di attivi e un utile oltre i 100 milioni sono i numeri da cui si riparte in questo 2024 che si preannuncia, di nuovo, complicato per lo scenario globale in cui ci muoviamo.

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Passera, come è cambiata illimity in questi anni? Avete modificato il vostro modo di intendere la banca?

In questi anni ci siamo continuamente dovuti adattare a modifiche di scenario anche profonde. È rimasto inalterato il mercato di riferimento, quello delle PMI. Fino a qualche tempo fa, oltre al credito alla crescita e alle ristrutturazioni, facevamo anche investimenti diretti di dimensioni rilevanti in portafogli di credito deteriorato. Quest’ultima attività è diventata meno interessante per il forte calo del mercato e per gli effetti del calendar provisioning che penalizzano le banche rispetto agli operatori non bancari. In questo mondo rimaniamo però asset manager e servicer specializzati e le competenze accumulate in questi anni sono state messe al servizio del desk di asset-based financing che presenta un bel potenziale.

Come vi comportate con le aziende? Entrate anche nel capitale? E che orizzonte temporale vi ponete?

Il nostro mestiere è fare credito, poi certo, quando necessario, aiutiamo le imprese anche a trovare investitori interessati ad apportare l’equity necessario. Fare credito alla crescita o alle ristrutturazioni e stare vicino alle imprese clienti per parecchi anni necessita un approccio molto simile all’investimento di capitale: serve entrare profondamente nei piani strategici e seguirne la realizzazione. Per questo, coinvolgiamo sempre, oltre agli esperti di credito anche esperti di settore che spesso non sono dipendenti della banca: li chiamiamo tutor e portano valore sia a noi nella valutazione che alle imprese finanziate.

Sono cambiate le pmi ultimamente?

È difficile parlare di Pmi in generale: sono un universo talmente ampio e frastagliato che non esiste l’identikit che le accomuni. Quello che è certo è che in questi 10-15 anni le varie crisi che si sono succedute hanno fatto una grande selezione. La maggioranza delle imprese che sono rimaste adesso sono molto dinamiche e capaci. Certo, si percepisce anche in questo segmento di mercato l’effetto frenante delle tante incertezze che si stanno accumulando. Manca, a mio parere, sia in Italia che in Europa, una sufficiente capacità di ridisegnare una rotta comune per svilupparci nel nuovo mondo che sta configurandosi.

E della classe politica, e del governo in particolare, che cosa pensa?

Ci si occupa troppo dell’immediato e non abbastanza di promuovere l’innovazione necessaria in tutti i campi: nell’impresa, naturalmente, ma anche nella scuola, nella sanità, nel welfare. L’innovazione è determinante, eppure noi facciamo finta di non capire che senza l’aumento della produttività non ci potrà essere aumento dei redditi. Invece di premiare di più e strutturalmente chi investe in innovazione e nuove tecnologie, abbiamo ridotto gli incentivi a questi comportamenti virtuosi. Questa non è una critica solo al governo e alla politica italiana, ma anche a quelli continentali. O si usa la leva federale per portare avanti quegli investimenti di lungo termine che servono per rilanciare l’Europa, o le altre grandi potenze del mondo ci sotterreranno. Siamo usciti da quasi tutte le graduatorie dei settori cruciali del futuro come la tecnologia, i semiconduttori, il biomedicale, la difesa, le banche, la cantieristica…

Sulla cantieristica l’operazione per l’acquisizione da parte di Fincantieri di Stx è stata stoppata dal governo francese…

Una mossa non lungimirante. Era un’ottima aggregazione, funzionale. Ma si è scelto di sacrificarla. Prendiamo i semiconduttori: abbiamo un gioiello come Stm che è a guida italo-francese. Perché continuare a dipendere così tanto da Usa e Taiwan? Perché non creare un grande campione europeo in grado di sopperire alle carenze sistemiche e agli scossoni geopolitici? Quando Biden si è accorto della necessità di ridurre la dipendenza ha messo sul piatto un trilione di dollari: deve farlo anche l’Europa, con investimenti federali. Abbiamo visto che gli eurobond funzionano, usiamoli per finanziare i progetti strategici comuni, usiamo la stessa capacità di reazione avuta nel caso del Covid. Ma c’è una clamorosa assenza di politica.

Torniamo all’Italia: condivide le priorità del governo?

In politica estera tutto sommato si è mosso bene. Ma ci sono tematiche importantissime come la demografia per le quali, invece, non mi sembra ci sia sufficiente interesse: ci verranno a mancare quasi 5 milioni di persone in età da lavoro nei prossimi 15 anni e, a fronte di una emergenza del genere, ci concentriamo soprattutto su come fermare barconi degli immigrati clandestini? Dovremmo invece trovare soluzioni molto più coraggiose e articolate: servirà uno sforzo di innovazione molto forte per aumentare la produttività complessiva, servirà una formazione più efficace sia per chi non è ancora nel mondo del lavoro sia per chi c’è già, dovremo favorire una ben maggiore occupazione femminile. Avremo bisogno naturalmente di nuova immigrazione e di politiche di integrazione: dovremo competere con altri paesi per attirare e mantenere gli immigrati che possono essere utili all’Italia, magari creando scuole e atenei nei Paesi da cui provengono.

Le risorse in Italia ci sarebbero forse anche, ma poi si destina il 50% della Manovra al Ponte sullo Stretto… lei che ne pensa?

Da ministro ho bloccato il progetto, penso che le priorità debbano essere ben altre. Se cresceremo di più e avremo le risorse necessarie, ben venga, ma adesso mancano risorse basilari in diverse parti d’Italia per avere infrastrutture adeguate. I corpi intermedi e le parti sociali possono dare un contributo indispensabile nella definizione delle priorità: la nuova leadership di Confindustria, per esempio, potrà farsi portavoce di politiche di crescita, di sviluppo, d’innovazione.

In sintesi: giudizio sull’operato del governo? Negativo?

(scuote la testa e sorride) Eh… Mi aspetto maggiore attenzione alle tematiche di medio lungo periodo una volta esauriti gli ultimi appuntamenti elettorali che ancora ci aspettano.

Lei prima faceva riferimento alla formazione: quali sarebbero le sue priorità? E quali i modelli da adottare?

Purtroppo, non abbiamo una scuola adeguata alle necessità. Perdiamo troppi giovani nel percorso, troppi escono con preparazioni insufficienti o comunque inadatte al nuovo mondo del lavoro e delle tecnologie. Troppi lavori rimangono scoperti per mancanza di competenze disponibili. Ci sono modelli vincenti in vari paesi europei per quanto riguarda la formazione tecnica e professionale, l’alternanza scuola-lavoro, l’apprendistato, fino ad arrivare agli ITS e all’aggiornamento per tutta la vita. Ma sono anche molte altre le aree di debolezza da colmare: orientamento, interdisciplinarietà, metodologie di insegnamento e apprendimento, conoscenza delle lingue straniere e in particolare dell’inglese, soft skills. Ci sono, naturalmente,casi di successo di istituti al passo coi tempi, e dobbiamo usarli come esempi per dimostrare che si può rimediare alle gravi carenze attuali. Ma dei veri problemi della scuola non parliamo e non ce ne occupiamo perché le resistenze al cambiamento sono fortissime e gli effetti non sono immediati, ma si vedono solo nel tempo. Evidentemente per la politica non è un argomento sexy.

Veniamo al mondo bancario: si aspetta grandi manovre in Italia?

In realtà no. Ormai il grosso è stato fatto, il nostro Paese si è mosso molto bene negli ultimi decenni. Il consolidamento è sostanzialmente completato: sono immaginabili solo un paio di ulteriori operazioni tra le banche medio grandi. Su Mps è stato fatto un buon lavoro, il governo ha diluito ancora la sua quota, il prossimo passaggio dovrebbe essere quello di una fusione con un istituto di medie-grandi dimensioni…

Lavoro finito, quindi?

Il lavoro non è mai finito. La sfida della digitalizzazione e delle nuove tecnologie delle Intelligenze Artificiali è appena cominciata. La concorrenza delle big tech non va sottovalutata.

A livello europeo?

Qui siamo decisamente più indietro. L’unione bancaria e la capital market union sono al palo. Si accampano difficoltà tecniche, ma in realtà manca la volontà politica e forse quella imprenditoriale. Oggi in Europa abbiamo una sola banca globale nata dalla combinazione di UBS e Credit Suisse. Siamo ancora troppo dipendenti dalle grandi americane. Da questo punto di vista la regolazione e cruciale e oggi la mancanza di una vera unione bancaria impedisce la costruzione di veri gruppi bancari europei. Puoi comprare banche di altri paesi, ma ciascuna deve singolarmente rispondere ai requisiti e vincoli locali senza vera integrazione.

Chi ha paura dell’unione bancaria?

La politica in generale che rimane nazionale e non europea. In particolare, i grandi paesi che in campo bancario non hanno ancora fatto i compiti a casa come la Germania e i paesi più piccoli che temono di essere “colonizzati”.

Che scopo avrebbe una grande banca europea frutto della fusione di uno o più soggetti?

Porterebbe un duplice risultato: darebbe vita a grandi operatori nell’investment banking alternativi rispetto ai “soliti” americani. E permetterebbe di gestire più facilmente il finanziamento di grandi progetti europei, che potrebbero essere in concorrenza con progetti americani. Se pensiamo anche soltanto ai grandi mondi dell’asset management e del wealth management, ci sono alcuni operatori statunitensi che gestiscono risparmi anche nostri in quantità non lontane dall’intero PIL dell’Unione. La sovranità si difende anche in campo finanziario.

Torniamo a illimity: avete intenzione di fare operazioni di M&A? Volete entrare nella partita del risiko, magari acquisendo “pezzi” di banche nel caso in cui si dovesse mettere in atto lo spezzatino di Mps?

Non credo che a Siena assisteremo a una divisione degli asset. Ma se anche dovesse succedere, non vogliamo mischiarci con modelli più tradizionali, ancorché resi funzionali e redditizi. illimity continuerà a fare quello che ha fatto fino ad ora: la banca per le pmi, sempre più concentrata sul credito dedicato alla crescita e ai rilanci aziendali e sempre meno impegnata nel mondo distressed, da cui stiamo uscendo.

E Corrado Passera che cosa vuole fare?

Non ho mai programmato il futuro e mi sono sempre dedicato al meglio delle mie possibilità al mio compito. In illimity si aggiunge un forte interesse anche personale a creare grande valore nei prossimi anni.

Un’ultima domanda: lei è stato l’uomo che ha reso Poste Italiane quella che è oggi, ha creato la più grande banca italiana, è stato ministro… Qual è la cosa tra quelle che ha fatto di cui va più fiero?

Senza voler fingere di dare risposte a effetto, sicuramente quella di avere individuato, attirato e valorizzato persone in gambissima. C’è stato un momento in cui tutti gli amministratori delle principali banche italiane, a parte Jean Pierre Mustier, erano – e in parte tutt’ora sono – grandi persone che erano state in “squadra” con me. Gliel’assicuro: non c’è soddisfazione più grande di vedere “volare” in alto persone che stimi e con le quali hai condiviso progetti importanti.






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