Tutta la verità sulle pensioni. I costi? Pagati dai lavoratori
Pensioni, flessibilità in uscita:si va in pensione con alcuni anni di anticipo. Ecco in dettaglio cosa cambia
Il Ministro del Lavoro Poletti ha formalmente convocato per martedì 24 maggio CGIL, CISL e UIL per "svelare" quali sono le effettive intenzioni del Governo (e di Renzi in particolare) in merito alla possibilità di andare in pensione con alcuni anni di anticipo rispetto a quelli stabiliti dalla vigente normativa.
Ed in effetti l'età e gli anni di contribuzione necessari per maturare il diritto alla pensione sono attualmente tra i più alti dell'Unione Europea.
Ma cerchiamo di fare un po' di chiarezza precisando, sia pure in estrema sintesi, quali sono i requisiti di anzianità contributiva e di età richiesti per il pensionamento.
Questi requisiti sono oggi i seguenti:
- 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini per ciò che concerne la pensione anticipata;
- 66 anni e 7 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne del settore privato per la pensione di vecchiaia.
Vediamo invece cosa realmente intenderebbe fare il Governo per risolvere, almeno parzialmente, questo problema che ormai da quasi 5 anni ha "lacerato" i sogni e le speranze di tantissime persone, lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi.
A mio avviso comunque, e per quello che mi risulta direttamente, è difficile che possa essere concretamente varato in tempi brevi un provvedimento di carattere strutturale sul problema pensioni.
La convocazione formale dei sindacati - cosa del tutto "nuova" in questi ultimi due anni - a pochi giorni di distanza dalle elezioni amministrative del 5 giugno può avere infatti soltanto uno tra questi due significati:
a) il Governo ha l'intenzione di consultare effettivamente le 3 maggiori confederazioni allo scopo di tener conto concretamente del loro parere;
b) questa convocazione ha soltanto un valore di "facciata" e lo scopo di "tenere buoni" i sindacati e i loro iscritti in vista appunto delle elezioni.
In entrambi i casi è difficile pensare che Renzi e Poletti siano intenzionati a risolvere il problema della flessibilità con un decreto legge. L'importanza dell'argomento e i guasti provocati dalla improvvisata Riforma Monti-Fornero sono infatti tali da invitare tutti alla prudenza e ad una attenta riflessione su quella che può essere una soluzione "accettabile" sia per i lavoratori sia per l'Unione Europea, che anche oggi ha nuovamente insistito sulla assoluta necessità che l'Italia faccia di tutto per contenere il proprio disavanzo.
Di conseguenza queste nuove disposizioni - da valere sia per i lavoratori pubblici sia per quelli privati - dovrebbero essere varate, al più presto, con la prossima legge di stabilità, e quindi all'inizio dell'autunno.
A quel che mi risulta infatti Ministero del lavoro, Ministero dell'Economia, Presidenza del Consiglio e Inps stanno ancora "limando" quello che potrebbe essere il testo della nuova regolamentazione, testo che prevede meccanismi tecnici di riduzione degli importi di complessa applicazione.
Ad oggi, e proprio per evitare un aggravio per il Bilancio pubblico, i costi di questo anticipo dovrebbero essere necessariamente "pagati", direttamente o indirettamente, dagli stessi lavoratori, come sempre avvenuto del resto in questi ultimi anni.
Tutte le varie ipotesi da ultimo confluite nell'acronimo APE mi sembrano sinceramente molto confuse e di complicata ed onerosa attuazione, oltre che caratterizzate da criteri non sempre condivisibili come quello di far intervenire nell'iter attuativo banche e società di assicurazione (con quali costi?) o quello di penalizzare doppiamente le pensioni di importo più elevato.
Come ho sottolineato in altre occasioni è proprio l'importo mensile delle pensioni che convince (anzi costringe) molti lavoratori a non andare in pensione in anticipo, visto che con questo importo devono fare anche da vero e proprio ammortizzatore sociale per figli e nipoti che non riescono a trovare un'occupazione sufficientemente stabile e retribuita.
Anche le disposizioni APE quindi, se confermate, dovrebbero avere un'applicazione abbastanza limitata e tale comunque da non poter rappresentare una soluzione veramente valida al problema dei requisiti di età e di contribuzione sempre più elevati.
L'addossare questi costi agli stessi lavoratori urta, oltre tutto, con quello che avviene in alcuni settori produttivi come, ad esempio, quello dei bancari in cui l'anticipo del pensionamento è a totale carico delle banche (almeno ufficialmente), non è limitato a soli 2/3 anni ma è stato addirittura elevato, con un recente decreto legge in corso di conversione, da 5 a 7 anni (!) e dà diritto da subito non ad una riduzione temporanea o definitiva della pensione, come previsto dal progetto APE, ma addirittura ad un aumento dell'importo della pensione da mettere in pagamento, importo che viene maggiorato (ripeto sin dal 1° mese di pagamento) di tutti i contributi che la banca avrebbe dovuto versare nel caso in cui il proprio dipendente fosse rimasto al lavoro fino alla maturazione dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti per la generalità dei lavoratori.
Davvero grosse disparità di trattamento a mio avviso, quasi al limite dell'illegittimità costituzionale, che difficilmente si possono "digerire" ed accettare in un momento in cui le limitazioni che continua ad imporci l'Unione Europea fanno aumentare di giorno in giorno il numero delle persone in povertà assoluta o a rischio di diventarlo.